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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2011 alle ore 08:12.
Improvvisamente «9» è diventato il numero più citato a proposito della crisi economica globale, ma anche della battaglia politica americana come sempre in competizione tra ricette interventiste e liberiste, tra sinistra e destra, tra liberal e conservatori. I ragazzi di Occupy Wall Street sono convinti di rappresentare con la loro protesta di Zuccotti Park, Manhattan, il 99% della popolazione americana, un doppio 9 contro quel privilegiato 1% di finanzieri, di banchieri e di straricchi che lucrano le loro fortune a danno della gente comune e delle giovani generazioni.
Quel doppio 9 di «Io sono il 99%» è il simbolo più emblematico delle ragioni degli indignados di Wall Street e anche il marchio più visibile negli striscioni, nei manifesti, negli adesivi mostrati alle manifestazioni di Lower Manhattan, al punto da giustificare le reazioni altrettanto eccitate della destra conservatrice, ma non solo, pronte a dare una lettura da «lotta di classe» all'occupazione.
I conservatori, d'altro canto, ribattono con il gruppo «Noi siamo il 53%», ovvero il 53% degli americani che non rientra nell'1% di straricchi milionari, ma che tuttavia paga regolarmente le tasse, al contrario del rimanente 46%, di cui evidentemente fanno parte molti degli occupanti di Wall Street, che non versa nemmeno un dollaro alle casse dello Stato.
Nel mondo conservatore c'è chi addirittura usa un triplo 9 per provare a superare la stagnazione economica. Ecco che entra in scena Herman Cain, fino a qualche settimana fa un improbabile candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, ma adesso sfidante numero uno, o al massimo numero due, del favorito Mitt Romney alle primarie di partito.
L'afroamericano Cain, noto per aver rilanciato la catena di ristoranti The Godfather Pizza, è riuscito ad emergere grazie al suo "piano 9-9-9".
L'idea è questa. Il codice fiscale va riformato, tutte le detrazioni (comprese quelle sui mutui) vanno abolite, le tasse sul lavoro, sulla proprietà, sulle transazioni finanziarie e sui dividendi vanno cancellate in cambio dell'introduzione di un'aliquota fissa del 9% su tutti i redditi privati, di un'aliquota fissa del 9% sui profitti delle imprese e di una tassa sulle vendite di prodotti nuovi, non usati, tipo la nostra Iva, sempre al 9 per cento.
Michelle Bachmann, candidata amata dai Tea Party, ha provato a demonizzare ironicamente il piano 9-9-9 di Cain, quasi fosse una nuova manifestazione del tradizionalmente diabolico 6-6-6. L'altro sfidante Jon Huntsman si è spinto fino a immaginare che quel 999 «fosse il prezzo della pizza». Ma Cain è un ottimo comunicatore e il suo piano, a differenza dei 59 punti di Romney (ecco un altro 9), suscita l'interesse degli elettori. Il piano è fin troppo semplice, anzi semplicistico, e la prima reazione è quella di chiamare il 911, il 113 americano. Ma è curioso, intrigante, intellegibile e ha anche ricevuto il beneplacito di studiosi della Heritage Foundation e dell'American Enterprise convinti che la riforma proposta da Cain sia budget neutral, ovvero che non faccia crollare le entrate nelle casse dello Stato assieme alle aliquote. D'altro canto, spiegano i sostenitori del piano, alla lunga il 9-9-9 fa addirittura aumentare le entrate perché libera capitale, incentiva gli investimenti e crea molti posti di lavoro.
Le critiche ovviamente sono molte ed estese, intanto perché i ricchi pagherebbero quanto i poveri e chi oggi è esentato dal pagare le tasse, il 46% degli americani, dovrebbe iniziare a pagare un'aliquota del 9 per cento sul poco reddito percepito. I giornali di sinistra liquidano il piano come una «follia», ma sono ben argomentate anche le critiche provenienti da destra, a cominciare da quelle delle pagine conservatrici del Wall Street Journal, comunque allergiche all'idea di una nuova tassa, per quanto bassa, di tipo europeo sulle vendite.
La ribellione del 99% a sinistra e il piano 9-9-9 a destra sono espressioni bipartisan del medesimo populismo economico – «paghino i ricchi», «meno tasse per tutti» – che pervade in questa fase gli opposti schieramenti politici alla ricerca di una bacchetta magica per uscire dalla crisi. Né l'una né l'altro offrono soluzioni serie e credibili per affrontare e quindi risolvere la più vera questione della società americana odierna: quel tasso di disoccupazione che, a proposito di numeri ricorrenti, si è ormai attestato sopra il 9 per cento.
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