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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2011 alle ore 08:14.

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PALERMO
Il ministro delle Politiche agricole Saverio Romano è stato componente e importante riferimento di un «comitato d'affari» impegnato a tutelare gli interessi del gruppo Gas che faceva riferimento a Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo don Vito, e del tributarista Gianni Lapis, prestanome dei Ciancimino. Lo sostiene il giudice per le indagini preliminari Piergiorgio Morosini nell'ordinanza con cui chiede alla Camera dei deputati di poter utilizzare 25 telefonate che interessano Romano che è, appunto, deputato e si sarebbe addirittura adoperato per far ottenere alla società del gas i benefici fiscali: da un'intercettazione del 2003 emerge che Romano chiede a Lapis di preparare lui stesso un emendamento per la legge Finanziaria che l'esponente politico avrebbe poi presentato.
Del «comitato d'affari» facevano parte anche Totò Cuffaro, l'ex presidente della Regione siciliana che sta scontando sette anni di carcere per aver favorito Cosa nostra, e il defunto deputato regionale dell'Udc Salvatore Cintola. Accusato anche il senatore Carlo Vizzini il quale ha sempre respinto ogni addebito e ha sostenuto che i soldi di cui si parla nelle intercettazioni facevano parte di un investimento da lui pianificato: il Gip ha accolto la richiesta del suo legale Francesco Crescimanno di separare la posizione rispetto a quella di Romano.
L'indagine coordinata da tre sostituti antimafia della Procura palermitana (Nino Di Matteo, Sergio De Montis e Paolo Guido), nata tre anni fa, ha approfondito la rete di affari tra Ciancimino e Lapis e il comitato d'affari composto dai politici e dalle 25 intercettazioni risalenti al 2003-2004 si capirebbe quanto grave sia il comportamento dell'attuale ministro. Per il Gip quelle discussioni al telefono dimostrano come «imprenditori spregiudicati, liberi professionisti a libro paga, amministratori corrotti, politici senza scrupoli votati a una raccolta del consenso senza regole» si siano ritrovati tutti attorno allo stesso tavolo in cui ognuno di loro aveva una funzione precisa. Scrive ancora Morosini: «I politici gestiscono il flusso della spesa pubblica e le autorizzazioni amministrative; gli imprenditori si occupano della gestione dell'accesso al mercato; i mafiosi riciclano capitali, partecipano agli affari e mettono a disposizione la forza materiale per rimuovere gli ostacoli che non è possibile rimuovere con metodi legali». Grazie a questo meccanismo ben oliato il gruppo Gas avrebbe avuto vantaggi nell'aggiudicazione di alcuni appalti per la metanizzazione. Per ringraziare Romano Lapis avrebbe versato 50mila euro: il ministro nega, il tributarista sostiene si sia trattato di un contributo all'Udc. L'inchiesta, in nove faldoni, utilizza anche le rivelazioni di Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici della mafia oggi pentito, e dell'avvocato Giovanna Livreri, legale di alcuni soci del gruppo Gas. Secondo l'accusa persino nella cessione del gruppo Gas alla spagnola Gas natural vi sarebbero stati l'interessamento e i buoni uffici del comitato d'affari: per questa transazione sarebbero state distribuite tangenti per un milione e 300mila euro. Fondi trasferiti «sotto traccia» dalla Svizzera. In serata Romano critica un'«ordinanza acriticamente aderente alla richiesta dei pubblici ministeri» e parla di «caccia all'uomo che si è aperta a Palermo».
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