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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2011 alle ore 06:39.

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ROMA
Una sigla eversiva «in franchising». Diffusa, in crescita, sempre più minacciosa. Non nasconde, ormai, di esser disposta anche a cercare il morto. Il «salto di qualità» verso la violenza più spietata è stato fatto. Perciò, contro gli anarco insurrezionalisti, l'attenzione delle forze dell'ordine è salita al massimo livello.
Antonio Manganelli, capo del dipartimento di Pubblica sicurezza, riferisce in audizione davanti al Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica presieduto da Massimo D'Alema. Il prefetto spiega che agli scontri di sabato scorso a Roma c'erano almeno 4-500 anarco insurrezionalisti. E tanti, tantissimi sedicenni. Un fenomeno in aumento, in parte imprevisto, comunque molto preoccupante. Il capo della Polizia di Stato lo sottolinea, se ne fa quasi un cruccio personale. Si chiede se si tratta di giovani vicini ai centri sociali più violenti o è anche un fenomeno diverso, frutto del disagio sociale, dei drammi dell'incertezza sul lavoro, del futuro, dell'impossibilità o della difficoltà estenuante di fare un progetto di vita sereno, normale.
Certo è, invece, che gli anarco insurrezionalisti italiani hanno rapporti di interscambio con i colleghi greci, spagnoli, sudamericani. Un'alleanza sovversiva globalizzata fatta anche di segni, simboli, risultati: come quelli di sabato a Roma. Si sono rafforzati, hanno rialzato la testa, sono la sigla più a rischio in questo momento nel panorama dell'eversione. Serve allora un nuovo reato di associazione a delinquere, per costringere in una figura penale ad hoc questa forma sovversiva sfuggente, poco articolata ma con un progetto di attacco alla sicurezza pubblica sempre più esplicito.
Manganelli spiega anche che i controlli e la prevenzione per la manifestazione No Tav in Val di Susa di domenica sono ad alta intensità. Secondo le informazioni della nostra intelligence (Aisi, Aise e Dis) per il momento anche i più bellicosi non intendono portare nuovi attacchi. Certo: adesso sarebbe un'ingenuità tattica e strategica. Tutti gli occhi delle forze dell'ordine sono puntati contro di loro.
Intanto ieri il gip di Roma, Elvira Tamburelli, ha confermato il carcere per nove dei dodici ragazzi fermati dalle forze dell'ordine durante gli scontri della manifestazione degli “indignati” nella capitale. Devono restare in carcere perché su di loro «ci sono gravi e univoci indizi di colpevolezza» e perché la detenzione a Regina Coeli appare «l'unica misura idonea e adeguata alla forte esigenza di tutela della intera collettività». Per loro l'accusa è di resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale, un reato per il quale si rischiano da tre a 15 anni di detenzione. A due delle tre ragazze arrestate, Alessia Catarinozzi, 26 anni di Alatri (Frosinone), e Alessandra Orchi, 29 anni, di Roma, sono stati concessi gli arresti domiciliari. È invece tornato libero il romano Leonardo Serena, 21 anni. Per il gip i nove giovani per cui ha confermato il carcere, sono soggetti «pericolosi socialmente» in quanto «propensi a ricorrere alla violenza».
D. Lus.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L'ANALISI

La novità
Accanto all'antagonismo e all'anarco-insurrezionalismo, tanti minorenni sono stati protagonisti della giornata di violenze al corteo degli Indignati de 15 ottobre a Roma. È uno degli elementi di novità descritti dal capo della polizia, Antonio Manganelli, nel corso della sua audizione al Copasir
Secondo l'analisi di Manganelli le persone arrivate a Roma col preciso obiettivo di fare devastazioni erano circa 500: molti di loro organizzati e ben addestrati. C'è stato poi il contributo contingente di altri che si sono aggiunti a violenze in corso

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