Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2011 alle ore 08:31.

My24
(Epa)(Epa)

di Carlo Genta
Si potrebbe essere un po' cinici e dire che le corse sono anche queste. Che basta parlare con un pilota per capire che il rischio è un compagno di viaggio accettato, quasi amato, in un mestiere strano per gente folle e incapace di essere normale. Potremmo scegliere di essere retorici, vagamente auto-consolatori, e ricordare che un uomo è morto facendo ciò che più gli piaceva al mondo: cavalcare un mostro spinto da 250 cavalli.

Normale cercare spiegazioni a una violenza feroce che in una mattina di autunno ci ha colpito allo stomaco, lasciando tutti senza respiro come inevitabilmente succede quando una vita si spegne per gioco. Che è una cosa diversa da uno schianto su una strada. Non più oppure meno brutale. Semplicemente diversa. Allora si parla di quelle gomme incerte che hanno provocato troppi scivoloni in questo brutto Motomondiale.

E si guarda a quell'odiosa strega che si chiama elettronica: in una circostanza come quella una moto scivola via all'esterno della curva, fino alla via di fuga del prato opposto. Invece le diavolerie elettroniche l'hanno impedito, continuando a far girare ruote impazzite come il giocattolo di un bambino, spingendo il mostro in mezzo alla furia del branco. Così si muore nelle corse delle moto, calpestati. Altrimenti sono abrasioni e ossa rotte, ma non si paga con la vita.

Si cercano delle colpe, perché ci sentiremmo meglio nel vedere il grumo del male, nel trovare una ragione là dove non esiste. Marco Simoncelli è morto al secondo giro di una inutile corsa di fine stagione: quando abbiamo visto quel casco rotolare l'abbiamo capito subito tutti, prima di quella penosa ora di accertamenti che hanno portato all'annuncio listato di nero. E' morto quasi abbracciando una pista lontana, che è poi quella sulla quale si era infilato sulla testa improponibile la sua corona: il titolo mondiale della 250 nel 2008. Lì, nella quarto di litro, era rimasto anche l'anno successivo per poter crescere ancora un po' e per provare a difendere quella corona. Poi aveva portato la leggerezza del suo talento tra i grandi: era alla seconda stagione, quella in cui avevamo capito che Sic, come stava scritto nelle grafiche televisiva, sarebbe diventato un grande pilota.

Troppo spesso per terra, siamo d'accordo, come chi danza sul limite, casinista e incasinato, ma maledettamente veloce, fino a beccarsi le punture dei santoni, su tutti Jorge Lorenzo che gli dava del pazzo pericoloso e che ieri, nella corsa senza ritorno, non c'era. Ma state certi: è a casa a piangere più forte di tutti noi. Valentino Rossi, no. Lui non lo attaccava sul serio. Al massimo si davano dei "bastardi" col sorriso sulle labbra, come fanno due che si vogliono bene.

Era facile e bello vedere nella luce del tramonto di Valentino, uno che gli somigliava, anche fisicamente, così alto e allampanato da dover abbracciare la moto con le gambe e con le braccia, più che montarla. Anche nella parlata, ovviamente, nel sorriso, in quella scintilla furba che attraversa gli occhi. Cosa volete che sia se non destino essere travolto dal tuo idolo-amico su un nastro d'asfalto su cui sei stato l'uomo più felice della terra per un giorno? Piuttosto non vorremmo mai essere nel casco di Valentino: lì abitano oggi i più spaventosi fantasmi. Non sarebbe poi così sorprendente se il Dottore decidesse di non infilarselo mai più.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi