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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2011 alle ore 06:37.

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BRUXELLES. Dal nostro corrispondente
Ancora ieri, all'indomani del lungo vertice europeo del fine settimana, si sono moltiplicate le pressioni europee sull'Italia perché con urgenza risani i conti e rafforzi l'economia. Fonti di stampa, smentite (freddamente) dalle autorità comunitarie, hanno rivelato che i partner europei stanno valutando se sostenere le obbligazioni italiane sui mercati tramite acquisti da parte del fondo di stabilità Efsf.
All'Italia, serve «un insieme di misure», ha detto ieri Amadeu Altafaj, il portavoce della Commissione europea, prima del consiglio dei ministri in serata a Roma. Queste misure riguardano «la riforma del mercato del lavoro, la riforma della giustizia», necessarie per affrontare «le debolezze profondamente radicate dell'economia italiana». La Commissione chiede «una rapida adozione, seguita da una rigorosa attuazione». Il tempo stringe e i mercati sono ormai in allarme da tempo: in agosto la bilancia dei pagamenti italiana ha registrato un vero esodo di capitali, con gli investitori esteri che hanno venduto azioni e obbligazioni di Piazza Affari per un totale di 21 miliardi. Alle dichiarazioni da Bruxelles si è aggiunto ieri un articolo nel quale Le Monde ha rivelato che si sta valutando l'ipotesi di attivare l'Efsf per evitare un eventuale tracollo italiano. Per tutta risposta, lo stesso Altafaj ha precisato: «Non c'è nessun nuovo sviluppo riguardante l'Italia e l'Efsf». Tralasciando per un attimo il fatto che (per ora) il fondo non ha denaro sufficiente, la notizia rivelata da Le Monde è plausibile.
Da tre anni, da quando è scoppiata la crisi, le autorità comunitarie e i governi nazionali vivono di piani B. Prepararsi al peggio è il lavoro dei diplomatici e degli esperti. In questo senso, come non immaginare che la fuga di notizia sia - almeno nei fatti - un nuovo modo per fare pressione sull'Italia sulla scia della richiesta franco-tedesca di domenica di agire urgentemente per ridurre il debito e rilanciare l'economia?
In una conferenza stampa domenica a Bruxelles, alla fine di un lungo consiglio europeo, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha avvertito che non si può garantire «la solidarietà europea» a coloro che «non sono pronti a fare degli sforzi». Dal canto suo, nella stessa occasione, il cancelliere Angela Merkel ha spiegato che la fiducia non ritornerà solo con «un muro di protezione», ma anche con «una prospettiva chiara».
Gli osservatori più malevoli potrebbero pensare che le pressioni siano strumentali, e non abbiano solo l'obiettivo di convincere l'Italia ad agire. Da alcune settimane i francesi temono di perdere la Tripla A, sanno che i prossimi a subire la furia dei mercati potrebbero essere loro. C'è chi pensa che puntare il dito contro Roma sia un modo per la Francia di proteggersi e soprattutto di spostare l'attenzione sull'Italia.
Durante la loro conferenza stampa di domenica la signora Merkel e il presidente Sarkozy hanno risposto con un sorriso a una domanda se il premier Silvio Berlusconi li avesse rassicurati sulla sua politica economica in un precedente colloquio a tre. In Italia, la vicenda ha provocato non poche polemiche, tanto che il nervosismo delle ultime ore ha indotto Parigi e Berlino a tentare di calmare le acque.
Da Berlino una fonte governativa ha parlato con l'agenzia Ansa di «equivoco» per il modo in cui le parole dei due leader sono state interpretate in Italia. Da Parigi, si è usata la parola «malinteso». Tutta la vicenda dimostra quanto sia delicato il momento. È fortissimo il timore che la zona euro sia sull'orlo del precipizio. In questo senso, l'Europa non può più permettersi di aspettare i tempi della politica italiana.
Proprio al caso Italia verrà probabilmente dedicato un paragrafo nel comunicato finale del consiglio europeo di domani. Ieri sera era ancora oggetto di difficilissimi negoziati diplomatici. Il linguaggio e il tono che verranno usati dai leader europei dipenderanno da quanto nelle prossime ore il governo Berlusconi riuscirà a convincere i suoi partner della serietà della sua politica economica.
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