Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2011 alle ore 08:04.

My24

ROMA. I leghisti ci hanno provato e riprovato fino all'ultimo a rilanciare il loro vecchio cavallo di battaglia, il ritorno al superincentivo per il posticipo del pensionamento di anzianità (magari esteso anche alla vecchiaia). Ma alla fine hanno dovuto, almeno stando alle indiscrezioni trapelate, limitarsi a chiudere su un accordo modesto e nel quale, molto probabilmente, sono proprio loro i primi non credere fino in fondo.

Disposto dalla legge Maroni (n. 243/2004), il bonus era stato ribattezzato con il nome dell'allora ministro del Welfare e prevedeva l'aggiunta in busta paga del lavoratore che accettava il rinvio del pensionamento della quota contributiva destinata agli istituti previdenziali, con il corrispondente congelamento del trattamento pensionistico. Nella realtà il bonus venne utilizzato da appena 96mila lavoratori tra il 6 ottobre del 2004 al 31 dicembre del 2007; applicato «in via sperimentale» dal governo guidato da Romano Prodi.

Dopo la sua scadenza il bonus non venne mai più rifinanziato e «bollato» come un fallimento dal Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Al di là del suo costo, i tecnici del Nucleo parlarono di effetti «poco apprezzabili sulle leve di pensionamento» poiché chi decise di intascare i contributi in cambio del posticipo avrebbe comunque continuato a lavorare.

Eppure le stime del penultimo Governo Berlusconi erano diverse. Si parlava di risparmi per circa 250 milioni in tre anni, e si sosteneva che si sarebbe potuto arrivare a quota un miliardo. Per questo si andò avanti. Anche se la Ragioneria generale dello Stato aveva parlato subito di un'operazione senza risparmi.

Previsione poi confermata dal bilancio consuntivo del Nucleo, all'epoca guidato dall'economista Gianni Geroldi. Elsa Fornero, altra economista e membro del Nucleo, fu netta: «Non c'è stato alcun beneficio in termini di risparmio di spesa. Anzi forse c'è stata anche una piccola perdita». A fine 2006 risultavano accolte circa 80mila domande sulle 89mila arrivate all'Inps: il 55,3% di lavoratori del Nord e solo il 19% lavoratori del Sud. E a fine percorso si arrivò a quota 96mila.

Basta rileggere quanto scriveva sul nostro giornale appena tre anni fa un esperto di previdenza del Pdl come Giuliano Cazzola per comprendere che il giudizio negativo non era solo dei tecnici. «Il bonus del 2004 – scriveva Cazzola – era stato istituito allo scopo di supplire in qualche modo, sul terreno del rinvio della quiescenza, alla scelta, di natura politica, di far decorrere solo dal 2008 il passaggio (il cosiddetto «scalone») da un requisito anagrafico di anzianità di 57 anni a uno di 60; per poi salire ancora gradualmente a 61-62 per i dipendenti e a 62-63 per gli autonomi».

Roberto Maroni, naturalmente, la pensava in modo diametralmente opposto e giurò che appena possibile lo avrebbe riproposto. L'occasione buona si presento nel dicembre del 2008, pochi mesi dopo l'insediamento dell'attuale Governo Berlusconi. I leghisti lo riproposero con diversi emendamenti al Ddl di conversione del primo decreto anti-crisi. Il bonus Maroni spiccava anche nel programma elettorale del Pdl e, tuttavia, non venne mai approvato.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi