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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2011 alle ore 08:02.

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ROMA. Umberto Bossi non ha ceduto sulle pensioni di anzianità. Su quel nucleo di lavoratori che risiede per il 65% nel Nord e per il 25% solo in Lombardia. Quella bandiera è salva anche a costo di una crisi di Governo che però il Senatur lascia sia l'Europa a provocare. Con Silvio Berlusconi ha tenuto un filo di trattativa fino all'ultimo, proprio per non indebolire ulteriormente la posizione del premier a Bruxelles, ma le concessioni sono poca cosa rispetto alle richieste della Commissione Ue. E dunque sarà l'Unione a decidere. «Abbiamo individuato una strada, ora vediamo cosa dice l'Ue», diceva il Senatur dopo che gli avevano spiegato quanto stretta fosse la strada europea.

Il dato politico è che comunque Bossi ha dato il suo contributo fino alla fine, fino a ieri sera a tarda notte quando – dopo vari vertici che si sono susseguiti nella giornata – ce n'è stato uno finale a Palazzo Grazioli. Segno che non è così pronto a staccare la spina, non senza aver prima tentato qualche soluzione. Che, sembra, si sia trovata al vertice notturno dove è arrivato alla fine anche Giulio Tremonti chiamato proprio dal Senatur. «Trovato l'accordo?», gli chiedono i cronisti e lui uscendo fa le corna, un gesto più napoletano che padano. Si è trattato sulle pensioni di vecchiaia per le donne: questo è l'unico margine concesso, dicevano fonti autorevoli del Pdl. Ma esponenti leghisti ancora negavano il compromesso.

Dunque Bossi ha offerto la sua sponda a un Cavaliere trafitto dalle critiche europee. Anzi lui trova pure il colpevole del rischio-crisi dell'Italia. «Un italiano». E il nome e cognome è quello di Mario Draghi. «Abbiamo un sistema pensionistico che è più a posto di quello francese e tedesco. La lettera della Bce – dice Bossi – è una fucilata a Berlusconi. Chi fa quella roba lì, è un italiano. Chi ha scritto la lettera è un italiano». Quello che è chiaro è che il Senatur non si vuole prendere la responsabilità – per intero – di determinare la fine del Governo ma vuole scaricare la colpa su Bruxelles. È lontano il '94 quando un altro Bossi gestì la fine del primo Esecutivo Berlusconi sempre sulla previdenza: un gioco dell'oca con i protagonisti invecchiati.

La barriera sulle pensioni è comunque compatta in un Carroccio sempre diviso tra le due fazioni in campo. In ballo ci sono voti e consensi e nessuno vuole mettersi di traverso. Piuttosto resta la discussione sul dopo-Berlusconi nel caso il Governo cada. E qui che le strade divergono perché i maroniani non vedono male anche un governo di transizione che accompagni al voto nel 2013 ma che intanto consenta al centro-destra di ristrutturarsi dopo la caduta del Cavaliere. Diverso il giudizio di Bossi e dei suoi del cerchio magico: per loro c'è solo il voto. Le urne garantirebbero al Senatur di rimanere in sella e ai cerchisti di tenere un controllo sulla catena di comando. Molti deputati maroniani ieri erano infuriati per una riunione del gruppo che doveva servire a chiarire la posizione della Lega mentre le informazioni gli sono state centellinate per non lasciarle trapelare alla stampa.
«Letta premier? Non facciamo governi tecnici, se c'è la crisi c'è il voto»: le parole del Senatur danno il senso di un asse anti-ribaltonista con Berlusconi che tiene. Ma non la esclude la crisi Bossi, anzi. «Questa volta si rischia», ripete ma non a prezzo di mettere sul piatto le pensioni del Nord. Perché questo è un Governo che si regge su pochi numeri, la possibilità che cada è concreta e dunque non vale la pena immolare le pensioni e poi affrontare le urne. Sarebbe un salasso elettorale. «In pensione a 67 anni? Impossibile la gente ci ammazza. Anche i 40 anni di contributi non vanno toccati». Ecco la linea del Piave. Che sembra sia stata valicata solo per le donne, per un anticipo delle pensioni di vecchiaia. Nessuna trattativa sui condoni, ampie disponibilità a intervenire sul pubblico impiego: queste le coordinate del negoziato padano. E chissà se basterà a Bruxelles.

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