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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2011 alle ore 06:40.

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NAPOLI
Luigi Bisignani punta a chiudere il capitolo P4 con una richiesta di patteggiamento tombale per tutte le accuse a suo carico: dal favoreggiamento alla rivelazione di segreto fino all'associazione per delinquere. Una scelta giunta a sorpresa ieri nell'udienza d'apertura del processo che lo vede imputato insieme al magistrato-deputato Alfonso Papa. Complice un difetto di notifica, il legale dell'imprenditore, Gianpiero Pirolo, ha chiesto e ottenuto che il fascicolo ritornasse al gip Luigi Giordano, che dovrà decidere sulla congruità della pena concordata tra accusa e difesa. La particolarità di questa richiesta di patteggiamento - che implica il riconoscimento delle proprie responsabilità nei reati contestati - è l'allargamento anche all'accusa di associazione per delinquere, rigettata in prima istanza dal gip, poi ritenuta sussistente dal Tribunale del riesame e ora pendente davanti alla Corte di Cassazione.
Bisignani, insomma, è pronto ad ammettere di aver fatto parte di un gruppo con finalità criminali anche se è presumibile che, ottenuto questo importante risultato giudiziario, i pm Woodcock e Curcio non insisteranno oltre nell'ipotesi della sua caratterizzazione segreta e paramassonica, finendo per archiviare questo aspetto. La decisione del gip, che dovrà ricevere prima il parere del pubblico ministero, è attesa per il 10 novembre, ma non è escluso che già prima di allora Bisignani possa tornare in libertà – si trova ai domiciliari dal giugno scorso – con il solo obbligo di firma, atteso il parere positivo espresso dalla Procura per un'attenuazione della misura restrittiva.
Diverso, invece, l'esito processuale per Alfonso Papa, che l'8 novembre dovrà comparire davanti a un nuovo collegio giudicante dal momento che quello inizialmente individuato è stato ritenuto incompatibile in quanto Papa era stato uditore giudiziario, agli inizi della carriera da pm, proprio del presidente del collegio. La scelta di Bisignani, secondo i difensori del deputato, Giuseppe D'Alise e Carlo Di Casola, non dovrebbe in alcuna misura influire sulla posizione giudiziaria del politico, che continua a professarsi innocente ed estraneo a qualsiasi contestazione. Ieri Papa era in aula, seduto accanto ai suoi legali, e non in gabbia. Ha ascoltato con attenzione le fasi inaugurali del processo, distraendosi soltanto all'arrivo della moglie, Tiziana Rodà, e degli anziani genitori, cui ha inviato gesti di rassicurazione. A fine udienza, moglie e marito hanno ottenuto il permesso dai giudici di abbracciarsi. Un contatto di pochi istanti, durante il quale i due hanno potuto soltanto scambiarsi qualche frase sulla promozione in prima squadra di pallanuoto del figlio 13enne.
Che cosa accadrà ora? È chiaro che l'inchiesta si indirizzerà sull'individuazione delle "talpe" che hanno consentito agli indagati – e a Papa in particolare – di avere accesso a informazioni giudiziarie riservate su procedimenti penali ancora in corso per girarle ai potenti di turno o per usarle come armi di ricatto contro imprenditori e capitani d'industria.
Dunque, all'esito dell'udienza di ieri e delle successive valutazioni che adotteranno Procura e gip si può dire che la P4, così come ipotizzata all'inizio, si ridimensiona. Ma invece c'è, per i giudici del Riesame, un gruppo di uomini, legati da un vincolo di interesse, che hanno operato come un network informativo parallelo a quello legale. Proprio su questo aspetto la Cassazione il 7 novembre dovrà pronunciarsi sul ricorso degli indagati – Papa, Bisignani, il carabiniere Enrico La Monica e l'agente di Ps Giuseppe Nuzzo – e decidere sulla sussistenza o meno di tale ipotesi accusatoria. Se la Suprema Corte sposerà il giudizio del Riesame, scatteranno le misure cautelari in carcere per i soli Papa, La Monica e Nuzzo, avendo Bisignani già risolto con il patteggiamento la propria posizione.
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