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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2011 alle ore 08:08.
Professor Ichino, come giudica l'iniziativa del governo che nella lettera di intenti alla Ue annuncia una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti a tempo indeterminato?
Troppo generico. Ricorda quel signore a cui chiedono "Lei sa suonare il pianoforte?" e che risponde "Ora provo". Una riforma di questa complessità e delicatezza non si inventa in una notte.
Sta dicendo che il governo pecca di improvvisazione?
Sì: dopo tre anni nei quali il governo ha continuato a teorizzare che il nostro era il mercato del lavoro più efficiente del mondo, non si può venire da un giorno all'altro ad annunciare una riforma come questa, senza indicare neppure a quale modello ci si vuole ispirare. Con questi annunci si ottiene soltanto di seminare ansia e provocare alzate di scudi.
È stato compiuto anche un errore nel merito della questione sollevata dalla lettera della Bce o solo nel metodo seguito dal Governo?
Nella lettera del nostro governo alla Ue il merito della questione non è neppure affrontato.
E qual è secondo lei la questione?
Almeno due questioni. La prima riguarda la metà dei lavoratori dipendenti italiani ai quali l'articolo 18 non si applica: occorre riscrivere un diritto del lavoro capace di proteggere anche loro nel mercato del lavoro. La seconda riguarda la tecnica della protezione: quella dell'articolo 18 è sbagliata, perché è per un verso troppo rigida, porta di fatto all'ingessatura dei rapporti di lavoro; per un altro verso è insufficiente, perché quando viene l'acquazzone accade che il gesso si sciolga e il lavoratore resti con un pugno di mosche in mano.
La soluzione?
«Flexsecurity»: coniugare la massima possibile flessibilità delle strutture produttive con la massima possibile sicurezza di tutti i lavoratori nel mercato del lavoro. Tutti, non soltanto metà. È la soluzione che ho proposto, con altri 54 senatori, nel disegno di legge n. 1873/2009. A costo zero per lo Stato.
Chi paga?
La proposta è di scambiare l'esenzione per l'impresa dal controllo giudiziale sui licenziamenti per motivo economico con la sua responsabilizzazione per la sicurezza economica e professionale del lavoratore licenziato. Quello che l'impresa risparmia in termini di tempestività dell'aggiustamento degli organici basta e avanza per coprire il costo di un'assistenza alla danese nel mercato del lavoro.
A che punto è il confronto parlamentare su quel suo disegno di legge?
Il 10 novembre 2010 il Senato ha approvato quasi all'unanimità la mozione Rutelli, che impegnava il governo a varare una riforma ispirata a quel progetto. Si potrebbe partire da lì.
La lettera ha ricompattato i sindacati che minacciano lo sciopero generale. Del resto il 21 settembre nell'accordo interconfederale avevano sterilizzato la norma sui licenziamenti dell'articolo 8 della manovra. È ipotizzabile un intervento su questo tema con tutti i sindacati contrari?
È ipotizzabile se si incomincia col chiarire che la riforma si applica solo ai nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti, a meno che i lavoratori già in forza scelgano a maggioranza di passare al nuovo regime. Questo sdrammatizzerebbe la questione ed esalterebbe l'effetto positivo sul piano occupazionale: mentre da un lato le aziende sarebbero molto più disponibili ad assumere, anche a tempo indeterminato, quelli che hanno un posto di lavoro stabile se preferiscono la vecchia disciplina se la possono tenere.
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