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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2011 alle ore 08:12.

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«Se non ci fosse l'euro, saremmo in guai molto più seri». Carlo Azeglio Ciampi, che dell'euro è uno dei padri nobili, non ha dubbi sul contributo decisivo che la moneta unica ha fornito in questi dieci anni alla stabilità dell'eurozona. Proprio la crisi che si è abbattuta sui debiti sovrani, e che dalla scorsa estate ha investito frontalmente anche il nostro paese, mostra che l'euro è un processo irreversibile. Non ha alcun senso dunque il periodico interrogarsi sulla validità di quella scelta. «Almeno c'è questo argine, almeno c'è questo punto di coesione. Immaginiamo solo per un attimo a quel che accadrebbe se ogni popolo europeo andasse per conto proprio. Era tutt'altro che scontato giungere a questo risultato. Resto fermamente convinto che l'unione fa la forza».
Ciampi ha appena ricevuto la telefonata di Mario Draghi, a una manciata di giorni ormai dal suo insediamento alla guida della Banca centrale europea. Telefonata graditissima che il presidente emerito della Repubblica definisce «molto affettuosa». Il rapporto tra i due è molto solido, di stima e amicizia. È ancora vivo nel ricordo di Ciampi quel significativo, caloroso ingresso nel salone d'onore della Banca d'Italia, in occasione delle ultime «Considerazioni finali» di Mario Draghi. A braccetto, tra Draghi e Fabrizio Saccomanni. Momenti di grande commozione per Ciampi, un ritorno nella «sua banca». Il giorno «del grande riconoscimento verso l'istituzione, il suo prestigio. Non potevo mancare anche come Governatore onorario», ha commentato a caldo.
Dall'euro non si torna indietro, osserva. «Certo se non avessimo questa maledetta zoppìa». Torna nelle riflessioni del presidente emerito della Repubblica un termine che ritroviamo in moltissimi interventi pubblici del settennato. È il difetto di origine, l'anomalia di un'Europa unita sotto il segno della moneta, con la Bce autentica ma unica istituzione federale, senza il sostegno di una vera politica economica comune e quanto meno un coordinamento delle politiche fiscali. Non molti ricordano oggi - ribadisce Ciampi - che battere moneta «è un atto fondamentale nella sovranità dello Stato». Avervi rinunciato in favore di un'istituzione federale «è stata una decisione difficilissima». Non si torna indietro, e Ciampi certo non può non criticare, a suo modo, le ricorrenti polemiche di casa nostra sul valore e il fondamento di quella scelta.
Più di ogni altro, conta quel che Ciampi disse in occasione della cerimonia per i dieci anni della Bce, nel giugno del 2008: la costruzione istituzionale dell'Unione europea «deve arrivare a disporre dell'intera panoplia degli strumenti di governo dell'economia: di bilancio, dei redditi, delle strutture materiali e immateriali». Non basta la moneta a garantire stabilità e crescita.
L'altro punto fermo per Ciampi, e questo riguarda soprattutto noi, è l'assoluta necessità di ripristinare un consistente avanzo primario. «Quando entrammo nell'euro era al 5% del Pil. Va ricondotto a quel livello».
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