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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2011 alle ore 14:14.

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Quando nel 2007 un giovane senatore al suo primo mandato in Illinois scese in campo nelle primarie democratiche per la corsa alla Casa Bianca, nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo su di lui. Nero, sconosciuto, inesperto, inerme di fronte a una macchina da guerra come quella di Hillary Clinton che lo surclassava nei sondaggi.

Sappiamo come è andata a finire e oggi in campo repubblicano un certo Herman Cain sogna lo stesso percorso del presidente. In comune con Obama ha solo il colore della pelle, e non è detto che sia uno svantaggio, che non solletichi l'elettorato. Sulla carta, e a dispetto di alcuni sondaggi che lo premiano, Cain ha tante chance quante ne aveva all'inizio della gara Barack Hussein Obama. Non ha alcuna esperienza politica, non ha una solida struttura elettorale alle spalle, va maluccio nella raccolta fondi, e prima di tirar fuori la formula fiscale del 9 -9- 9 (un'aliquota unica del 9% su tutti i redditi) nessuno nemmeno lo prendeva in considerazione. Anche nei dibattiti non emergeva, schiacciato dalla notorietà e dalla personalità dell'ex governatore del Massachusetts Mitt Romney e del governatore del Texas Rick Perry.

Eppure Cain ha una serie di caratteristiche che potrebbero provocare il coup de théâtre. Cresciuto ad Atlanta, 66 anni il 13 dicembre, di umili origini, soddisfa il lato più conservatore degli elettori del partito con la sua assoluta contrarietà a ogni forma di aborto, il sostegno alla famiglia, il fatto che non aprirebbe mai le porte a un musulmano nel suo Governo. Vanta diverse esperienze di successo in campo industriale, la più eclatante quella della catena di pizzerie Godfather's pizza: ha accettato di diventarne amministratore delegato quando era a un passo dalla bancarotta, dopo 14 mesi l'azienda faceva utili (prima aveva lavorato anche per colossi come Coca-Cola e Burger King). Un buon biglietto da visita, in un momento in cui l'economia è la più grossa preoccupazione degli americani. Inoltre è stato chairman dell'influente Federal Reserve di Kansas City, che organizza il meeting di agosto a Jackson Hole dove si riunisce la crème dei banchieri centrali globali.

Obiettivamente, quella del triplo 9 è stata una trovata attraente (anche se non del tutto efficace, dicono alcuni economisti). Cain ha così giocato d'anticipo sulla flat tax – aliquota unica sui redditi dei cittadini, d'imprese e per l'Iva - prevedendo al contempo la graduale eliminazione delle tasse sui capital gain e diversi investimenti, quelle sulla successione e altre imposte federali. Ha spiazzato tutti, e costretto Perry a inseguirlo su quel territorio.

I risultati si sono visti: recenti sondaggi, tra lo stupore generale, lo hanno catapultato al primo posto con il 27% dei consensi, Romney – il candidato forte, che piace all'establishment e ha dalla sua grossi finanziatori – fermo al secondo con il 23% mentre il carismatico ma spesso impreparato Perry racimolava appena il 16 per cento. Tutti gli altri, dalla stella dei Tea Party Michelle Bachmann al buon vecchio Newt Gingrich, appaiono ormai decisamente fuori dalla corsa.

Un bel colpo per Cain era stata la netta vittoria dello straw poll (un sondaggio pre-primarie) in Florida, Stato chiave per le elezioni presidenziali, il mese scorso. La sfida è costruire il consenso in altri Stati che tradizionalmente danno il polso dell'elettorato indirizzando anche gli altri territori, a partire dall'Iowa, che aprirà la danza delle primarie il 3 gennaio. I fondi di Cain scarseggiano, anche se nelle prime due settimane di ottobre sono arrivati due milioni, un gran passo avanti rispetto ai 2,8 ottenuti nell'intero terzo trimestre dell'anno. E il suo staff raddoppierà contando su 60 persone entro la fine di ottobre. Opinionisti e stampa nazionale e globale non hanno dubbi: la sfida è tra il rassicurante Romney e il provocatore Perry. Vedremo se l'outsider Cain la spunterà…Un precedente c'è stato, tre anni fa.

L'America alla prova del 9 (di Christian Rocca)

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