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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2011 alle ore 06:37.

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Pronti a concorrere alla formazione di un governo di transizione o di emergenza nazionale, ma nessuna disponibilità a sostenere provvedimenti varati da questo Governo. Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini si muovono nelle ultime ore come un sol uomo, tanto che è difficile distingure le parole di uno da quelle dell'altro. «Ormai è chiaro in tutto il mondo che quello della credibilità del premier è il primo problema.

Poi c'è la questione economica-finanziaria di un Paese che non cresce. Se Berlusconi non fa un passo indietro i sacrifici sono inutili», dice il leader dell'Udc dopo essere stato ricevuto al Quirinale a capo di una delegazione del Terzo Polo che comprendeva anche Italo Bocchino, Lorenzo Cesa, Benedetto Della Vedova e Francesco Rutelli. «Il Pd è «pronto ad assumersi la sua responsabilità in un governo di transizione ed emergenza. Ma senza discontinuità ogni provvedimento è inutile», dice da parte sua il segretario del Pd dopo il suo colloquio con Giorgio Napolitano (presenti anche Anna Finocchiaro, Dario Franceschini, Rosy Bindi ed Enrico Letta).

Da Bersani e Casini è stato insomma alzato un muro invalicabile a ogni iniziativa di questo Governo. Il miracolo politico della manovra di Ferragosto, approvata in 72 ore da Senato e Camera – che fu reso possibile dall'intensa opera di moral suasion di Napolitano ma soprattutto dalla disponibilità delle opposizioni in nome dell'interesse nazionale – non è oggi ripetibile. Lo scenario è mutato: la maggioranza è ammaccata e sempre più precaria nei numeri, l'incertezza nella strategia di politica economica e le polemiche sfibranti contro o intorno a Tremonti hanno imballato il motore del centrodestra. Tutte circostanze che hanno fatto venir meno la disponibilità delle opposizioni.

Il messaggio è chiaro: siamo pronti ad entrare in un esecutivo di larghe intese o di solidarietà nazionale che dir si voglia e a dare il nostro sostegno a misure impopolari, ma Berlusconi se ne deve andare. Un esecutivo «serio» di larghe intese, «con una guida credibile e anche con il Pdl», si spinge a ipotizzare Massimo D'Alema. E Mario Monti è l'identikit profilato dalle opposizioni anche se, assicura Casini, nei colloqui al Quirinale «nessuno ha fatto nomi». Una «scossa visto che siamo al passaggio più difficile per l'Italia dal dopoguerra ad oggi», chiede Bersani, che sabato spera di riempire di bandiere italiane piazza San Giovanni a Roma per dimostrare che «con un cambiamento l'Italia ce la farà». Una manifestazione che ora, visto la piega che stanno prendendo gli avvenimenti nel Palazzo, rischia di essere più imbarazzante che altro per il maggior partito di opposizione. Ma il dato è ormai tratto, e ad ogni modo l'asse con i centristi di Casini è in queste ore di possibile svolta per la politica nazionale più saldo che mai. Problemi per il Pd, piuttosto, potrebbero venire da sinistra.

Fino a sera non aveva ricevuto la chiamata del Colle Antonio Di Pietro, che in passato non ha risparmiato critiche a Napolitano per non aver "staccato la spina" al Governo. Ma ha fatto sapere come la pensa: non esclude il governo tecnico, il leader dell'Idv, ma pone paletti alti come barricate. Ossia mai appoggio a un governo chiamato a fare «macelleria sociale per far quadrare i conti» come, a suo avviso, chiede la lettera della Bce. Ancora più netto il leader di Sel Nichi Vendola: meglio le elezioni. Di Pietro e Vendola, due spine nel fianco di Bersani. La foto di Vasto risulterebbe seriamente danneggiata da un eventuale governo di responsabilità nazionale.

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