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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2011 alle ore 17:42.

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Lo schema è ormai consolidato anche se per ora si tratta dell'ennesima dimostrazione di forza o poco più. Come è già accaduto più volte in questi anni sulla stampa anglo-americana trapelano informazioni da fonte militare che confermano i preparativi di un blitz su vasta scala contro i siti nucleari iraniani. La notizia rimbalza in Israele dove viene amplificata dal fatto che Gerusalemme ha i piani di attacco all'Iran sempre aggiornati nel cassetto della scrivania del ministro della Difesa.

Questa volta ad accendere la miccia è stato il Guardian pubblicando un articolo nel quale fonti militari confermano la disponibilità di Londra a sostenere l'attacco statunitense con salve di missili da crociera Tomahawk imbarcati sui suoi sottomarini nucleari.

Un innalzamento della tensione era del resto ipotizzabile con l'avvicinarsi dell'8 novembre, data fatidica nella quale l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) presenterà il rapporto sul programma atomico che potrebbe sancirne ufficialmente la natura militare. Un elemento che potrebbe offrire le condizioni politiche necessarie a dare il via a un'operazione militare che vedrebbe coinvolti, direttamente o indirettamente, anche i Paesi del Gulf Cooperation Council, la "Nato del Golfo" che comprende Arabia Saudita ed emirati che ospitano basi anglo-americane e temono, forse anche più di Israele, il riarmo e l'espansionismo iraniani.

Per gli Stati Uniti, che stanno completando il ritiro dall'Iraq, si tratta di poter conseguire l'obiettivo di neutralizzare o quanto meno ridimensionare le capacità militari iraniane. Il bersaglio principale dei raids sarebbero i siti atomici e in particolare i bunker sotterranei costruiti sulle montagne intorno a Qom (da colpire con bombe "bunker buster" da una tonnellata recentemente forniti anche a Israele (guarda il video)), ma è evidente che tali incursioni verrebbero sostenute e forse anticipate dalla distruzioni di altri obiettivi strategici. A cominciare dalle capacità di difesa aerea (radar, missili, aeronautica) iraniana, sulla carta limitate ma irrobustite dall'acquisizione di sistemi missilistici antiaerei e antimissile russi quali i Tor-M1 a corto raggio e gli S-300 che Mosca ha negato di aver venduto ma che Teheran ha annunciato di aver riprodotto nelle sue industrie. Nei giorni scorsi hanno attraversato il confine russo-iraniano anche veicoli militari dotati di nuove contromisure elettroniche Avtobaza in grado di "agganciare" decine di bersagli simultaneamente a oltre cento chilometri di distanza disturbandone i radar e i sistemi di guida missilistici. Come è già accaduto con la Serbia nel 1999 e con l'Iraq nel 2003, Russia (e Cina) testano i loro più recenti prodotti militari fornendoli agli avversari di Washington.

Un attacco anglo-americano, indipendentemente dalla presenza di israeliani e arabi, dovrebbe puntare prioritariamente alla distruzione delle rampe mobili dei missili balistici Shahab in grado di scatenare rappresaglie (anche con armi chimiche) in un raggio di 2mila chilometri e quindi di colpire Israele, i Paesi arabo del Golfo e le basi militari statunitensi in Medio Oriente e Afghanistan. Contro questa minaccia dovranno essere schierate robuste difese antimissile, a terra i Patriot Pac-3 e sulle navi gli Standard SM-3. Per distruggere siti strategici ma anche per neutralizzare i vertici delle Guardie della Rivoluzione Islamica (i pasdaran) è prevedibile un vasto impiego di team di forze speciali facilmente concentrabili ai confini dell'Iran in Afghanistan, Golfo Persico e Iraq. La strategia statunitense non prevede nessuna invasione con forze terrestri né tentativi di liberare l'Iran o di portarvi la democrazia con le armi ma una guerra da combattere essenzialmente nei cieli senza però sottovalutare la possibilità che un simile blitz possa determinare anche un crollo del regime iraniano.

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