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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2011 alle ore 12:33.

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«Al presidente Berlusconi e al suo Governo si chiede di assumere l'iniziativa della proposta e di dichiarare la propria disponibilità a favorire l'immediata formazione di un nuovo esecutivo politico di ampia convergenza. Il presidente Berlusconi, con la sua disponibilità, potrà mostrare il suo alto senso dello Stato oltre che il rispetto di fronte alle necessità del Paese in una ora drammatica della sua storia. E di questo tutti dovremo dargli merito».

L'ennesima lettera che chiede al premier un passo indietro per favorire le larghe intese viene dai deputati della maggioranza Luciano Sardelli (Misto), Antonino Milo (Popolo e Territorio, ossia i Repsonsabili) e dall'ex ministro Dc Enzo Scotti. Insomma l'emoraggia continua. Alla lettera dei tre ormai ex "responsabili" va aggiunta un'altra perdita secca in Senato: lascia il Pdl Carlo Vizzini (che passa ai socialisti di Nencini). Ma la maggioranza è «solida», assicura Berlusconi da Cannes. Il suo esecutivo ancora non è caduto né cadrà. E interverrà in prima persona a fermare i «tradimenti». Incontrerà ad uno a d uno gli scontenti, dice, e loro «torneranno sulle loro posizioni». «Abbandonare la maggioranza è un atto di tradimento», avverte.

Le prossime ore saranno decisive per frenare l'emorragia e tenere la maggioranza almeno a quota 315 in vista del voto sul Rendiconto generale dello Stato martedì a Montecitorio. Tant'è che il premier, lasciata Cannes e il G20, invece di fermarsi a Milano fa rotta direttamente a Roma e riunisce a Palazzo Grazioli Gianni Letta, Angelino Alfano e Denis Verdini. È Verdini ad avere il polso della situazione in Transatlantico. Ha già contattato gli scontenti ma conta sull'intervento personale del premier per scongiurare altri addii dolorosi. Gli uomini vicini a Berlusconi riferiscono che il premier non sembra accreditare troppo l'idea di una "regia" tessuta da altri dietro il fuoco di fila di dichiarazioni di deputati del suo partito che annunciano di fare i bagagli o minacciano di essere pronti a farlo. Lo scenario che il presidente del Consiglio preferisce considerare è quello di un nervosismo misto a insoddisfazione che provoca un "effetto domino" in più di un eletto. E se le cose stanno così – è in sostanza il ragionamento del Cavaliere – ci sono allora le condizioni per poter convincere i delusi e riportarli all'ovile.

Ma la situazione sembra più grave di quanto descritto dal premier, al punto che secondo indiscrezioni gli stessi Letta, Alfano e Verdini gli avrebbero consigliato di fare un passo indietro: «Silvio non abbiamo i numeri». Il Governo, ripetono gli scontenti, deve allargare la sua maggioranza, anche se ciò richiedesse un passo indietro dello stesso Berlusconi. Intanto i firmatari della lettera, cui potrebbero aggiungersi altri colleghi, si sono dati appuntamento all'inizio della prossima settimana per definire la linea. Di certo martedì non voteranno contro un atto contabile come il Rendiconto. Ma è forte la tentazione, condivisa con diversi altri "malpancisti", di un'astensione per lanciare un segnale al governo. Poi, se le risposte ancora non saranno arrivate, niente è escluso. Neanche il sostegno alla mozione di sfiducia che le opposizioni sono pronte a presentare, ma solo ove verificassero che i numeri per farla passare effettivamente ci sono.

Intanto la contabilità parlamentare ufficiale segna una risalita da 314 a 315 dei numeri della maggioranza. La circostanza è triste: la morte di Pietro Franzoso, coinvolto in un incidente qualche mese fa e assente alle ultime votazioni. Gli subentra Luca D'Alessandro, capo ufficio stampa del Pdl.

Mentre il Pdl perde pezzi, sostegno al premier viene invece dalla Lega. «Prima o poi vorrei dare una pedata a chi rema contro», dice il ministro per le Semplificazioni Roberto Calderoli. Che ammette gli «errori» di Berlusconi («aver portato qualche nano e ballerina» in politica) ma afferma che certo «non è il catalizzatore di tutti i mali». Poi la bordata in perfetto stile leghista: «Bisogna riflettere se è stato un grande affare entrare in Europa ed avere l'euro. Se valga la pena di restarci dentro».

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