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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2011 alle ore 08:10.

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L'Italia è sull'orlo del baratro. Può fare un passo indietro, ma per farlo deve prendere coscienza di due fatti. Primo, è nella situazione attuale esclusivamente per colpe proprie: la Merkel, Sarkozy, i mercati, la Bce, i monetaristi e gli speculatori non c'entrano. Secondo, l'Europa non può salvarci, e non perché sia tecnicamente impossibile, ma perché è politicamente improponibile; continuare a invocare gli eurobond, la Bce, o "più Europa", serve solo ad allontanare la soluzione dei problemi.
Da inizio anno le azioni delle maggiori banche italiane hanno perso tra il 40% e il 60% del loro valore; negli ultimi due anni tra il 60% e il 75 per cento. La spiegazione, quasi unanime, è che ciò sia dovuto all'accanimento della speculazione internazionale, ed ora anche della European banking authority, che vuole imporci una ricapitalizzazione maggiore che alle banche francesi e tedesche. Sembrerebbe non possa esserci altra spiegazione.

Dopotutto, si ripete da anni, il sistema bancario italiano è "fondamentalmente più solido" che in tutti gli altri Paesi europei, perché "noi non abbiamo i derivati" e "il risparmio delle famiglie è tra i più alti del mondo".
Ma i dati dicono anche qualcosa d'altro. Ciò che sta succedendo all'Eurozona ha una causa principale: il debito italiano (la Grecia ormai è storia). Le banche italiane, è vero, hanno pochi derivati, ma sono piene di titoli di Stato italiani: nelle due maggiori banche italiane questi sono pari all'83% e 133% del patrimonio di vigilanza, secondo dati di Mediobanca e Goldman Sachs. Tra le due maggiori banche di ogni altro Paese, solo le spagnole Bbva e Santander hanno esposizioni comparabili a titoli di Stato rischiosi, per via ovviamente dell'esposizione al debito spagnolo; le altre raggiungono valori massimi del 40%. E nessuna di queste ha la stessa percentuale di crediti dubbi: il 117% e l'85% del patrimonio di sorveglianza per le due maggiori banche italiane.
Questi sono i fatti. Ci sono giustificazioni: la recessione per esempio, che però c'è stata anche negli altri Paesi. Le banche italiane hanno anche un costo dei fondi più alto, perché risentono del rischio Paese; e i loro acquisti di titoli di Stato sono stati condonati dalle regole vigenti, che consideravano il debito sovrano a rischio zero. Una spiegazione meno caritatevole è invece che alcune banche italiane abbiano in parte soggiaciuto a pressioni più o meno esplicite del potere politico nazionale e locale. Se così fosse, ne dovrebbero rispondere agli azionisti; ma tra i maggiori azionisti sono le fondazioni, che proprio indipendenti dal potere politico non sono.
In ogni caso, i fatti restano, e negarli non aiuta. Anzi, minimizzare i problemi ha un costo: si sopravvalutano gli effetti e la probabilità di un aiuto dal resto d'Europa, o dall'Fmi. Questo è molto rischioso. Prendiamo gli eurobond, uno strumento assai popolare in Italia. Un eurobond è un titolo emesso con la garanzia illimitata e in solido di tutti i Paesi europei, il cui ricavato viene prestato all'Italia a un tasso inferiore a quello pagato dallo Stato italiano sul proprio debito. La differenza tra i due tassi di interesse misura il rischio che si accollano i contribuenti europei per aiutare l'Italia. C'è da stupirsi se la Merkel, che ha il dovere di rappresentare i propri elettori, non è d'accordo? Continuare a invocare gli eurobond in questa situazione denota mancanza di realismo politico, e allontana la soluzione dei problemi.
Oppure prendiamo l'invocazione di "più Europa", anch'essa così frequente nel dibattito italiano. "Più Europa" significa più decisioni prese da organismi sovranazionali: perché queste siano efficaci, è necessario anche dare più risorse a questi organismi: in altre parole, accentrare le entrate. Ancora una volta, non è realistico (né sarebbe equo) pensare che Germania e Olanda mettano in comune con l'Italia il proprio gettito fiscale senza avere un peso sulle decisioni di spesa di quest'ultima. Quando si invoca "più Europa" ci si rende conto della perdita di sovranità che ciò comporta? Si è disposti ad accettare che la Merkel e i suoi successori decidano di fatto su una parte delle nostre pensioni?
Basta retorica, basta lamentele, basta recriminazioni; è l'Europa, semmai, che ha diritto di recriminare contro di noi. C'è una sola soluzione, ed è quasi interamente in mano all'Italia: rendere il nostro debito pubblico meno rischioso. Ma il tempo sta per scadere.
roberto.perotti@unibocconi.it

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