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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2011 alle ore 21:54.

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Al comizio finale della campagna elettorale del 3 ottobre 2009, in una piazza gremita fino all'inverosimile, tra fasci di luci laser che tagliavano l'oscurità trasformando il meeting di Atene in un grande happening a cielo aperto, George Papandreou, candidato premier del Pasok, con il viso madido di sudore si giocava la partita della vita dopo la sonora sconfitta subìta contro Costas Karamanlis nel settembre 2007.
Quella sera, di fronte alla folla di sostenitori il futuro primo ministro sapeva che, in caso di insuccesso, il partito non lo avrebbe più sostenuto e al suo posto sarebbe diventato leader del partito Evaggelos Venizelos. Con questi pensieri in testa Papandreou si ricordò dell'eredità politica di suo nonno Gheorghios e di quella di suo padre Andreas, entrambi primi ministri prima di lui, e promise ai greci di aprire i cordoni della borsa, di far correre i salari più dell'inflazione e di varare nei primi cento giorni un piano di incentivi da tre miliardi di euro per ridare fiato all'economia e rilanciare i consumi.

A ogni promessa dal sapore populista si levava un boato di entusiasmo sempre maggiore del popolo della sinistra, un senso di appartenenza come non si vedeva dal marzo 2004, data della fine dell'ultimo governo socialista sotto il Partenone, sullo sfondo di un mare di garofani rossi e di bandiere verdi del Pasok. Papapandreou aveva risvegliato l'orgoglio del partito dopo due sconfitte elettorali, e vinse a piene mani le elezioni.
Dopo pochi giorni il triste risveglio. Papandreou scoprì di avere un deficit pubblico al 12,7 del Pil, le casse vuote e 53 miliardi di euro di obbligazioni da rifinanziare nel 2010. Un incubo.

Quando arrivarono come di consueto gli uomini della Goldman Sachs ad Atene che gli proposero, secondo la ricostruzione del New York Times, una via di uscita da finanza creativa alla crisi greca Papandreou, l'uomo giudicato da tutti privo del carisma del padre, disse serio solo due parole: «No, thanks». Poi fece una conferenza stampa in cui ammetteva il deficit più alto dell'Eurozona, i trucchi contabili dei governi precedenti e decise che o sarebbe andato agli inferi con il suo amato paese o sarebbe entrato nei libri di storia come il salvatore della Grecia moderna.
Anche per uno che si preparava fin da piccolo sulle ginocchia del nonno all'incarico di governare il paese, era un cambio di strategia da far tremare le vene ai polsi. George, 59 anni, decise che lui che era diventato premier anche per motivi dinastici ora doveva dimostrare ai greci e al mondo intero che sarebbe diventato in corso d'opera lo statista di cui aveva bisogno il paese, l'uomo dei sacrifici e del rigore.

All'inizio tentò di risolvere la questione volando alto: «La democrazia è in trappola, la politica deve ritrovare la supremazia sull'economia, prima le regole e poi i mercati». Ma presto capì che ora doveva affrontare un altro tipo di elettorato che votava ogni giorno: i mercati. A quel punto Papandreou, terza generazione della famiglia che siede sul seggio più alto del paese in un momento difficile come sotto l'Acropoli non si vedeva da 50 anni, comprese che doveva affrontare la situazione come se fosse in guerra. In gioco c'era la sovranità nazionale in un duello epico contro gli speculatori e gli errori del passato, una tragedia che andava affrontata con un piano di austerità senza precedenti.
George, nato da madre americana nel Minnesota, decise che avrebbe sfidato la piazza e gli estremismi vetero stalinisti usando la sua arma migliore: la concretezza anglosassone. Papandreou ha un carattere freddo, riflessivo, un sorriso gentile e toni mai sopra le righe, l'esatto opposto del padre, con il quale non era in sintonia. E poiché ha studiato sociologia ed economia in Svezia, Stati Uniti, Gran Bretagna, la stampa greca nazionalista spesso ricorda come parli greco con un forte accento straniero.
George l'americano voleva riformare il paese puntando sullo snellimento dell'apparato pubblico, economia verde, lotta all'evasione fiscale e corruzione. Un programma da riformista nordico in pieno Mediterraneo, un obiettivo ambizioso in tempi tranquilli figurarsi in momenti tempestosi.
Il premier con la maggior disoccupazione giovanile della Ue e il movimento anarchico più estremista d'Europa vuole dare un futuro alla migliore gioventù greca, quella che finora è stata costretta ad emigrare. Poi l'azzardo del referendum e della crisi di governo in cerca di maggioranze più ampie. Un azzardo politico che gli è costato la sfiducia dei partner europei che a quel punto hanno fatto capire al vertice di Cannes che non avrebbero più rinegoziato il piano Ue del 26 ottobre ma che avrebbero rotto il tabu dell'uscita dall'euro della Grecia. Una fuga in avanti quella di Papandreou che gli è costata il posto di premier in uno dei momenti più difficili del paese dalla Seconda guerra mondiale. Anche se ha costretto Antonis Samaras, il leader dell'opposizione di centro destra, a promettere di accettare finalmente il piano europeo.

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