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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2011 alle ore 14:26.

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ROMA - Sono in molti, anche nella ristretta cerchia del premier, a ritenere ormai imminente la fine del governo Berlusconi. Quel che invece è assai più controverso è cosa accadrà subito dopo l'uscita del Cavaliere da Palazzo Chigi. Non irrilevante sarà come e cosa determinerà la conclusione dell'Esecutivo. Questo ancora non è stato deciso. Si guarda al voto di martedì sul Rendiconto.

Berlusconi è convinto di poter recuperare con il suo personale intervento quasi tutti i dissidenti del Pdl ed evitare così che il numero degli astenuti (l'opposizione è intenzionata a puntare sulla luce bianca) prevalga sui sì. Successivamente si recherebbe al Colle per un confronto con il Capo dello Stato.

Un passaggio che viene dato per scontato. Assai meno lo è il contenuto del colloquio. Se Berlusconi avrà superato la prova dell'Aula è probabile che dichiarerà di essere pronto a condividere le proposte dell'opposizione per uscire dalla crisi, rinunciando al ricorso alla fiducia. Un gesto di buona volontà che come unico effetto avrà quello di rinviare lo scontro sulla legge di stabilità lo scontro. Se invece il Cavaliere martedì dovesse uscire malconcio da Montecitorio, sia pure non con una netta sconfitta ma portando a casa solo una maggioranza relativa, allora gli scenari si moltiplicano. Il premier potrebbe pianificare assieme al Capo dello Stato la via d'uscita.

Berlusconi se non può restare a Palazzo Chigi punta alle elezioni anticipate. «Annuncio le mie dimissioni subito dopo l'approvazione della legge di stabilità»: potrebbe essere questa la proposta del Cavaliere, che però deve fare i conti con quella parte del Pdl (e non solo) che di andare a votare non ci pensa proprio. Sono gli stessi che in questi giorni continuano a puntare insistentemente su un Esecutivo guidato da Gianni Letta. Un'ipotesi che consentirebbe teoricamente l'allargamento della maggioranza al Terzo polo. La Lega ha già detto di essere contraria. Il Carroccio guarda con sospetto il rientro di Fini e Casini temendo di non poter più usufruire delle garanzie finora offertegli a turno da Berlusconi e Tremonti. Senza Bossi però non ci sarebbero i voti sufficienti, visto che difficilmente il Pd entrerebbe in una maggioranza guidata dal braccio destro del Cavaliere. L'unica possibilità per realizzare un governo di larghe intese è affidare l'incarico a una personalità terza, capace di restituire credibilità al Paese e di affrontare i nodi finora irrisolti della politica economica italiana. Tradotto: a un governo Monti difficilmente Bersani, nonostante la gran voglia di andare a votare e la gran paure dei sacrifici, potrebbe dire no. Berlusconi e tutti gli uomini a lui vicini continuano a ripetere che un governo tecnico non avrà il loro voto. E senza il Pdl Napolitano mai avvalorerà un Esecutivo tacciabile di ribaltonismo, neppure se uno sparuto gruppo di deputati dovessi distaccarsi dal partito del Cavaliere.

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