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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2011 alle ore 08:08.

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Qualche ora prima della fine ‐ e forse un po' fuori tempo massimo ‐ Umberto Bossi lo dice ufficialmente: «Berlusconi si dimetta, faccia un passo laterale». E ai cronisti che lo incalzano suggerendo il nome di Angelino Alfano al posto del premier, il Senatur risponde come se fosse scontato.

«E altrimenti chi mettiamo? Il segretario del Pd?». In realtà, siccome un Esecutivo Alfano non sembra una soluzione in grado di reggere fino al 2013 - sia per i numeri che per la pressione dell'Europa - l'unico significato è quello di tenerlo in carica fino alle elezioni di gennaio-febbraio 2012. Pochi mesi che però sono fondamentali per Bossi perché la vera ragione per lanciare Alfano è che la Lega non vuole andare al voto con Silvio Berlusconi ancora premier in carica. Non vuole fare, cioè, una campagna elettorale con la 'zavorra' del Cavaliere e neppure vuole una ricandatura del Cavaliere anche se si dovesse andare alle urne subito. Questo sembra il senso delle parole dette da Bossi prima che la maggioranza cadesse. Ed era lo schema di Roberto Maroni da più di qualche mese senza però che il Senatur lo prendesse in considerazione.

Il fatto è che ieri il Carroccio si è messo in trincea anche sul maxi-emendamento. Nella riunione a Palazzo Grazioli - al ritorno di Berlusconi dal Colle - il Senatur ha tenuto il punto sul «no» alle pensioni. E così è stato. Nel senso che nel testo che andrà alle Camere non ci saranno le misure previdenziali che ci chiede l'Europa (anche con la nuova lettera inviata all'Economia il 4 novembre) altrimenti la maggioranza perderebbe il sostegno dei 59 voti padani. Questa è in assoluto la linea del Piave del Carroccio che sa che in campagna elettorale l'unica bandiera da poter sventolare è la difesa delle pensioni degli operai del Nord. E in effetti è l'unico risultato portato a casa visto che il federalismo è sparito dai radar parlamentari.

Per il resto, la posizione del Carroccio non cambia. Se non ci sono i numeri e le condizioni - come sembra - per un Esecutivo Alfano, l'unica strada per il Senatur sono le elezioni. Tra le loro opzioni non esiste né un Governo Letta con l'Udc né un Esecutivo Monti di larghe intese. E i due «no» sono per due diverse ragioni. Nel primo caso, l'ingresso di Pier Ferdinando Casini in maggioranza sarebbe un'alterazione degli equilibri politici a tutto svantaggio della Lega che tornerebbe marginale. E soprattutto sarebbe difficile spiegare alla base un governo fatto con chi - come i centristi - non ha votato per il federalismo. Il «no» all'Esecutivo Monti dipende dall'agenda delle riforme - in primo luogo le pensioni - ma anche perché non è nel Dna leghista un governo di larghe intese con il Pd. Nonostante la contrarietà resta comunque la speranza di un pacco-dono: ossia che si faccia un governo fino al 2013 in cui la Lega resterebbe fuori, ma che le restituirebbe i toni dell'opposizione su cui costruire la prossima battaglia elettorale. Oggi quella battaglia appare molto complicata. Soprattutto se alle elezioni li accompagna Berlusconi.

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