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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2011 alle ore 08:08.

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Prima l'approvazione della legge di stabilità, poi le dimissioni. La road map di Giorgio Napolitano, ora che Silvio Berlusconi per la prima volta ha posto sul piatto le sue dimissioni dopo il voto di ieri alla Camera sul rendiconto generale dello Stato per il 2010, è che la legge di stabilità, ma soprattutto le misure promesse alla Ue e ai mercati, possono essere approvate in via definitiva dal Parlamento in dieci giorni, al massimo in due settimane. Percorso già sperimentato peraltro con successo con la manovra di luglio (approvata in una settimana). In sostanza, l'invito è a fare presto. Nel maxiemendamento, dunque, potrà essere recepita buona parte degli impegni assunti da Bruxelles (non le pensioni evidentemente), ma quel che conta in primo luogo è il segnale.

Una volta presentate le dimissioni - fa sapere il Quirinale - il Capo dello Stato avvierà le rituali consultazioni «dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione».
Il voto di ieri alla Camera - ha esordito Napolitano in un'ora di colloquio al Colle con il presidente del Consiglio - comporta conseguenze politiche, che sono evidenti a tutti. Berlusconi ha convenuto, ed ha poi espresso chiaramente a Napolitano la sua amarezza per le «defezioni e la fiducia tradita». Occorre tener fede agli impegni europei, ha aggiunto. Poi la decisione di dimettersi appena approvata la legge di stabilità. Incontro teso, come impone del resto la gravità della situazione, con Berlusconi che ha ribadito senza mezzi termini a Napolitano che, dopo le dimissioni del suo governo, vi sono solo le elezioni.

Napolitano da questo punto di vista è di altro avviso. Prima di tutto eserciterà le sue prerogative costituzionali con l'obiettivo di accertare se in Parlamento sia possibile configurare una maggioranza solida a sostegno di un nuovo governo. Poi, in caso di fallimento, si verificheranno le altre opzioni, compresa naturalmente quella dello scioglimento anticipato delle Camere.
Prima dell'incontro serale al Colle, Napolitano aveva parlato al telefono con Berlusconi, sollecitando una chiara e netta presa di posizione del premier dopo il voto della Camera. Il premier si è consultato con il suo stato maggiore, poi a palazzo Chigi con Gianni Letta ha delineato le mosse successive. Al capo dello Stato ha comunque assicurato che nel corso dei suoi contatti anche con i deputati del Pdl dissenzienti ne ha acquisito la disponibilità a «votare comunque i documenti di bilancio».

La nota emessa dal Colle subito dopo l'incontro dà conto della presa d'atto, da parte di Berlusconi, delle implicazioni del risultato del voto di ieri alla Camera sul rendiconto generale dello Stato per il 2010. Poi si rende esplicita la «viva preoccupazione» del premier «per l'urgente necessità di dare puntuali risposte alle attese dei partner europei con l'approvazione della legge di stabilità, opportunamente emendata».
Occorre fare in fretta, perché con lo spread Btp-Bund che ieri ha toccato i 500 punti base, siamo a un passo da quella soglia del 7% che ha richiesto per Irlanda e Grecia l'intervento del fondo salva stati. Gravità della situazione che il premier nel colloquio con Napolitano non ha sottovalutato.

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