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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2011 alle ore 06:45.

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Il 25 gennaio scorso il fondo europeo salva-Stati (Efsf) emette il suo primo prestito obbligazionario. È un'ovazione: il bond attira una domanda complessiva dagli investitori di tutto il mondo per 44,5 miliardi di euro, raccoglie in totale 5 miliardi e paga un tasso d'interesse pari a circa 38 punti base più dei titoli di Stato tedeschi. Ieri lo stesso fondo salva-Stati è tornato ad emettere obbligazioni: questa volta, però, la risposta degli investitori è ben diversa. La domanda è così fiacca che a malapena raggiunge i 3 miliardi sufficienti per coprire l'offerta, mentre il rendimento è pari a 177 punti base più dei Bund tedeschi.
Se serviva una cartina di tornasole, per capire cosa i mercati pensino del piano di salvataggio dell'Europa, eccola servita: anche il fondo-salva Stati, quello su cui sono riposte le maggiori speranze, inizia a fare acqua. Lo testimonia il fatto che i rendimenti dei suoi bond continuano a salire: da giugno le sue tre obbligazioni già sul mercato hanno visto quasi triplicare lo "spread" sui Bund tedeschi. L'aumento è stato più di 100 punti base. Il problema non è da poco: se anche il fondo che dovrebbe salvare gli Stati fatica a reperire fondi, la finalità stessa per cui è stato creato rischia di essere compromessa.
L'ultima fatica
Per capire il problema basta guardare l'iter, a dir poco tormentato, dell'emissione obbligazionaria di ieri. Come noto, il fondo Efsf (acronimo di European financial stability facility) non ha soldi propri, ma vanta solo garanzie da parte di tutti gli Stati dell'Unione europea: per avere le disponibilità liquide, dunque, il fondo deve indebitarsi sul mercato. Insomma: deve chiedere un "prestito" agli investitori, emettendo obbligazioni. Fino a ieri l'aveva fatto tre volte, sempre con successo. È la quarta emissione obbligazionaria a raccontare tutta un'altra storia.
Il bond era stato annunciato la scorsa settimana: doveva essere di durata quindicennale e doveva raccogliere 5 miliardi di euro. Soldi che servono nell'ambito del piano di salvataggio dell'Irlanda. Dopo pochi giorni, le ambizioni vengono ridimensionate: l'operazione – viene annunciato – sarà di soli 3 miliardi. Ma sul finire della settimana il colpo di scena: il fondo salva-Stati è costretto a ritirare l'emissione, per via delle «avverse condizioni di mercato». Alla fine ieri il bond – con l'aiuto di Barclays, Credit Agricole e JP Morgan – ha visto la luce: scadenza decennale (nel 2022), cedola del 3,5% e "premio" di 177 punti base sul Bund tedesco. Insomma: il fondo è costretto a offrire uno spread che i BTp italiani pagavano solo quattro mesi e mezzo fa.
I motivi della debolezza
A indebolire il fondo salva-Stati sono tanti elementi. Il primo è quello delle garanzie: il fondo, come detto, non ha soldi ma solo un "supporto" dagli Stati dell'area euro. Il problema è che a garantirlo sono anche i Paesi in crisi: l'Italia, tanto per capirci, è il terzo maggiore garante del fondo (ne assicura il 17,8%), dopo Germania (27%) e Francia (20,3%). Il quarto garante è la Spagna (11,8%). Con queste garanzie (e altri rafforzamenti) il fondo deve andare a reperire risorse sul mercato: un paradosso, che il mercato non poteva non far pagare in termini di tassi d'interesse. Per questo tanti sostengono che al fondo dovrebbero essere date garanzie reali: oro o altro tipo di beni.
Ma non è solo questo il problema. Da qualche mese il dibattito è concentrato sull'aumento della dotazione del fondo (fino a mille miliardi di euro), usando il cosiddetto effetto leva. Le modalità allo studio sono diverse (per esempio il fondo potrebbe garantire il 20-30% dei titoli di Stato in crisi), ma secondo molti addetti ai lavori il significato è uno solo: la sensazione è che si cerchi di risolvere con alchimie finanziarie una crisi nata per colpa delle alchimie finanziarie. Per un motivo banale: non si trova nessuno veramente intenzionato a metterci i soldi. Al G20 di venerdì scorso, nessun Paese extra-europeo ha voluto dare un contributo monetario al fondo Efsf. Anche la Cina è fredda. Se il mercato non fa i salti di gioia quando il fondo emette nuovi bond, non bisogna stupirsi.
m.longo@ilsole24ore.com
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