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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2011 alle ore 08:06.

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Se le forze politiche hanno voglia di mostrare senso di responsabilità e intendono sul serio dar vita a un'ampia maggioranza per l'Europa, questo è il momento di dimostrarlo.

Si sta aprendo una finestra di opportunità che durerà alcuni giorni. Ma non molti: diciamo da oggi fino al termine della prossima settimana. In questo lasso di tempo accadranno varie cose. Primo, il Parlamento approverà entro sabato o domenica la legge di stabilità, emendata in sintonia con le richieste europee.Secondo, Silvio Berlusconi rassegnerà le dimissioni, secondo l'impegno preso con il Quirinale. Terzo, Napolitano individuerà il nome con cui tentare la formazione del nuovo governo. Quarto, le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, saranno chiamate a esprimersi subito, sapendo che l'alternativa a un esecutivo per l'Europa saranno le elezioni.

Quinto punto, deve esser chiaro fin d'ora che Napolitano non si accontenta di un governo debole, basato su numeri parlamentari striminziti e svogliati: l'operazione ha un senso se si crea un fronte compatto, capace di rappresentare una risposta concreta e non solo retorica all'emergenza. Quindi nessun «ribaltone», nessun «tradimento» (secondo il lessico del centrodestra) della maggioranza che vinse nel 2008, ma anche nessun esecutivo affidato alla benevolenza di piccole pattuglie parlamentari in cerca di visibilità.

Questa è la risposta istituzionale al dramma vissuto ieri dalla nazione. L'Italia è sprofondata come non accadeva da decenni, mentre sulla scena internazionale si rincorrevano gli allarmi e le manifestazioni di pessimismo. A Roma si sono vissute ore di sgomento, finchè il presidente della Repubblica ha preso in mano il bandolo della matassa: in primo luogo evitando che le dimissioni posticipate di Berlusconi si trasformassero in una dilazione incomprensibile, contro la quale i mercati finanziari si stavano già scagliando con brutale violenza.

In secondo luogo il Quirinale ha precisato l'agenda dei prossimi giorni e infine, in serata, con un colpo di sicuro effetto, ha nominato Mario Monti senatore a vita. In tal modo ha rafforzato il profilo istituzionale del professore milanese, in vista di futuri incarichi. L'ingresso di Monti in Parlamento consolida, e non poco, quel ruolo di «riserva della Repubblica» che il Quirinale ha disegnato per lui. Ora sarà più difficile per tutti parlare - con un pizzico di supponenza - di governo «tecnico», visto che il senatore Monti svolgerà nel caso una funzione tipicamente istituzionale, nel quadro di un esecutivo voluto dal capo dello Stato.

Tutto avviene in fretta, poiché la forbice fra i ritmi della politica e l'impeto della crisi finanziaria non è tollerabile. Ma quante probabilità ci sono che le larghe intese per l'Europa prendano forma in questo Parlamento? E' evidente che nel Pdl post-berlusconiano si sta muovendo qualcosa, che i centrsti di Casini sono determinati e che il Pd risponde all'appello di Napolitano. Ma vicino al premier uscente si parla di «guerra» ai traditori (il «Foglio» di ieri), mentre la Lega vuole andare all'opposizione dei «tecnici». E sull'altro versante gli scenari non sono migliori. Vendola vuole il voto subito, al pari della Cgil della Camusso, e Di Pietro è contrario a un esecutivo che si limiti ad applicare le ricette della Bce.

Conclusione. In Parlamento la maggioranza per l'Europa può esserci sulla carta, ma forse non avrà la forza sufficiente a governare. In tal caso potremmo assistere a uno sviluppo straordinario: il governo di larghe intese, magari guidato da Monti, potrebbe trasformarsi in un cartello elettorale e presentarsi al voto anticipato in nome del programma europeo. Gestendo, s'intende, le elezioni da Palazzo Chigi.

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