Bersani recupera Di Pietro e punta all'«equità»

«Se è vero come è vero che i mercati non possono aspettare, Monti potrà fare quegli interventi di urgenza che vogliamo sapere nel merito quali sono e non devono essere macelleria sociale: però ci deve essere chiarezza sui tempi entro cui andare alle elezioni con una nuova legge elettorale». Dopo aver bocciato l'altro ieri il costituendo governo Monti e aver annunciato dura l'opposizione, Antonio Di Pietro fa una giravolta e si riallinea sul sì alle larghe intese. Con gli stessi paletti messi dal leader di Sel Nichi Vendola, anche lui favorevole a sostenere a certe condizioni il nuovo governo: no a macelleria sociale e urne in tempi brevi.

La prospettiva di restare isolato all'opposizione assieme alla Lega in un Parlamento tutto impegnato a 'salvare l'Italia' deve aver fatto riflettere l'ex Pm, così come la neanche tanto velata minaccia del leader del Pd Pier Luigi Bersani di escludere una futura alleanza elettorale se Di Pietro dovesse «andare per funghi» mentre il Pd sta in un governo costretto a prendere misure impopolari. Fatto sta che Bersani è riuscito a tenere unito il fronte del centro-sinistra, almeno per ora, di fronte alla prospettiva del governo Monti. E non è cosa da poco: il fatto di non avere antagonisti a sinistra pronti a raccogliere il malcontento sociale è già un passo avanti per un leader che sta portando se stesso e il maggiore partito di opposizione su una strada difficile e irta di incognite. Rinunciando a una facile vittoria elettorale e rischiando anche personalmente (più passerà il tempo più la premiership di Bersani alle prossime elezioni politiche sarà in discussione), il leader del Pd punta sull'assunzione di responsabilità nell'ora grave per il Paese e su un programma di governo che, anche con qualche misura impopolare, abbia tuttavia uno schietto stampo riformista.

È il responsabile economico Stefano Fassina a fare una quadro di quelle che saranno le proposte del Pd a Monti per la stesura di un programma condiviso: patrimoniale e lotta all'evasione per ridurre il cuneo fiscale su lavoratori e imprese; abbattimento dei costi della politica, a cominciare dal dimezzamento dei parlamentari, e deciso snellimento della burocrazia e della macchina periferica dello Stato; nuova legge elettorale che salvaguardi il bipolarismo e restituisca diritto di scelta agli elettori; un deciso programma di liberalizzazioni. Fin qui si tratta di misure che rientrano nei punti della lettera Ue. La linea Maginot del Pd resta quella dell'abolizione delle pensioni di anzianità e della riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Sulle anzianità la proposta ufficiale prevede un meccanismo di incentivi e disincentivi, mentre sul lavoro si punta a semplificare la giungla dei contratti a tempo avvicinando con garanzie crescenti il contratto di apprendistato a quello a tempo indeterminato.

Eppure dall'entourage di Bersani fanno capire che il Pd discuterà anche di anzianità e licenziamenti, naturalmente con il metodo della concertazione con le parti sociali. E affrontando contemporaneamente la questione degli ammortizzatori sociali con l'introduzione di un'indennità universale di disoccupazione che garantisca anche i lavoratori 'a tempo'. Il fatto è che i democratici sanno che, arrivati a questo punto, ci sono pochi margini di trattativa sui punti della lettera della Ue. E se magari a sinistra si dovrà ingoiare qualche rospo su pensioni e lavoro, a destra dovranno ingoiare una possibile patrimoniale (chiesta a gran voce e anche da Idv e Sel) e una possibile reintroduzione dell'Ici sulla prima casa.
Quanto all'ingresso nel futuro governo, il partito (da Bersani a D'Alema a Veltroni) è unito sulla linea del passo indietro dei partiti: politici ridotti all'osso e tecnici di alto profilo. Tecnici anche di area Pd, ma non leader politici. Quanto alle ipotesi di un tandem Gianni Letta-Giuliano Amato per 'garantire' da Palazzo Chigi le due aree politiche che sosterranno il nuovo governo, Bersani fa sapere che per il Pd «l'unica garanzia è Monti».

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