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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2011 alle ore 08:11.

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Non pensava che il suo addio a Palazzo Chigi avvenisse così, costretto a uscire dal retro del Quirinale per evitare i dileggi della folla festante, assiepata sulla piazza antistante la residenza del Capo dello Stato da ore, in attesa delle sue dimissioni. Per Silvio Berlusconi quella di ieri è stata una giornata drammatica perché vissuta con la consapevolezza che si sarebbe inevitabilmente conclusa con la fine della sua esperienza di Capo del governo. In mezzo ci sono stati però alcuni passaggi fondamentali.

A partire dal pranzo con Mario Monti svoltosi a Palazzo Chigi, prima del voto sulla legge di stabilità che si sarebbe tenuto di lì a qualche ora alla Camera. Un faccia a faccia avvenuto a pochi giorni dal passaggio di consegne ufficiale con il presidente della Bocconi e nel quale il Cavaliere ha sondato la disponibilità del suo successore a mantenere Gianni Letta nel prossimo esecutivo.

La risposta di Monti non è stata positiva («ha detto che la sinistra non vuole», riferirà più tardi). Berlusconi ne prende atto e prosegue in quello che si trasforma in un vero e proprio calvario. L'unica nota positiva è la dichiarazione di stima che in mattinata gli ha fatto pervenire Vladimir Putin, definendolo «uno degli ultimi mohicani della politica».

Davanti a Palazzo Chigi e a Montecitorio sono schierate le troupe televisive di tutto il mondo. Tutti i principali leader dell'Occidente attendono di capire che cosa farà il Cavaliere. Berlusconi raggiunge la Camera dall'interno, riunisce alcuni ministri e deputati nella sala del governo ed entra nel l'aula. In quel momento a parlare c'è Fabrizio Cicchitto, il capogruppo del Pdl. Tutti i deputati della maggioranza plaudono all'ingresso del Cavaliere e lo salutano con una standing ovation.

Berlusconi si siede, probabilmente per l'ultima volta, sullo scranno del premier. Alla sua sinistra c'è Giulio Tremonti. Poco più in là Umberto Bossi. I volti sono tetri, non ci sono scambi di battute. Il premier è impassibile, ascolta Cicchitto che termina il suo intervento. Probabilmente non vede l'ora di lasciare quel banco, dove si concentrano i teleobiettivi delle macchine fotografiche assiepate in tribuna stampa. I deputati della maggioranza urlano «Silvio, Silvio», lui si alza e fa un inchino in segno di ringraziamento. È il congedo del Cavaliere che rapidamente guadagna l'uscita per tornare a Palazzo Chigi, dove presiederà il suo ultimo Consiglio dei ministri. Il premier ringrazia i colleghi, in particolare Gianni Letta, che fin dal 1994 è stato il suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Di fronte a Palazzo Chigi ci sono centinaia di persone che gridano «dimissioni». Il Cavaliere sale in auto e si avvia verso la sua residenza dove i membri del'ufficio di presidenza arrivano alla spicciolata. Anche davanti a Palazzo Grazioli trova ad attenderlo una folla di persone che lo incitano ad andarsene. Qualcuno come Roberto Formigoni reagisce male e e replica ai manifestanti alzando il dito medio. Poco più in là c'è anche qualche sostenitore: «Silvio non mollare». Ma tutto è già stato scritto.

Berlusconi deve far rientrare la fronda del Pdl che minaccia di votare contro Monti mettendo in pericolo l'unità del partito. La riunione che si tiene nel parlamentino di Palazzo Grazioli è animata ma il Cavaliere fa capire che non ci sono vie d'uscita, che il tempo della trattativa è concluso. La protesta rientra, il Pdl approva all'unanimità il documento. È il momento del commiato prima di compiere il passo decisivo. L'appuntamento con Napolitano era stato fissato per le 20,30, Berlusconi è in ritardo. Quando il corteo arriva sulla piazza del Quirinale, è costretto ad attraversare due ali di folla che lo incitano ad andarsene. Qualcuno lancia delle monetine. Il viso del premier è una maschera. Sale da Napolitano, il colloquio dura poco, neppure una ventina di minuti. Tutto del resto era già stato detto.

Quando dal Colle arriva il comunicato ufficiale delle dimissioni, Berlusconi ha già abbandonato il Quirinale dall'uscita laterale. La piazza è gremita, sventolano i tricolori, si intona il coro che ha accompagnato l'Italia vittoriosa ai Mondiali di calcio, l'inno di Mameli, Bella ciao. Il rientro a Palazzo Grazioli avviene mentre nelle vie del centro della Capitale cominciano a suonare i clacson delle auto. Ad aspettarlo l'ennesimo vertice per mettere a punto la strategia in vista delle consultazioni di oggi. Poi calerà definitivamente il sipario.

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