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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2011 alle ore 07:41.

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Ancora una volta nel linguaggio politico della Lega contano più i simboli. E ieri niente poteva essere più chiaro di una diserzione. Umberto Bossi ha scelto di non andare a Roma, non presentarsi al giro di consultazioni che sta facendo Mario Monti e tenere la sua delegazione a Milano, in via Bellerio. Da ieri l'opposizione è ufficiale con tanto di ritorno di antiche tradizioni come la riapertura del Parlamento del Nord, un ri-debutto che avverrà a Vicenza il 4 dicembre.

Con il premier incaricato c'è stata solo una telefonata in cui il Senatur ha confermato il «no» al suo Governo non legittimato dal popolo e si è impegnato su un'opposizione 'responsabile' che «deciderà caso per caso» come votare. La scommessa della Lega, però, non è solo facile.
Certo sarà semplice dire no alla riforma delle pensioni, magari alla patrimoniale - anche se quando erano al Governo c'era la massima disponibilità - ma sarà difficile non uscire dai giochi, soprattutto se il Pdl punterà a riaggregare un centrodestra con l'Udc. Lo stesso vale per la partita sulla legge elettorale che tenderà a mettere d'accordo più le forze che sostengono Monti.

E sullo scacchiere del Parlamento il Carroccio potrebbe muovere diversamente le sue pedine: da partito di maggioranza a quello di opposizione. Sembra infatti che proprio in virtù di questo passaggio, la Lega possa candidare Roberto Maroni alla presidenza del Copasir, ruolo oggi ricoperto da Massimo D'Alema.
Il fatto è che con il sostegno del Pd al Governo Monti, D'Alema passerebbe in maggioranza, e a Lega potrebbe rivendicare per sé quella poltrona. A maggior ragione per l'esperienza di Maroni da ministro dell'Interno che lo rende un candidato poco discutibile. Resta per ora in stand by la partita sui capigruppo ma è certo che sia Roberto Calderoli -che ha rilanciato sul tenere i ministeri al Nord * che Roberto Maroni non passeranno dal ruolo di ministri di prima linea a parlamentari semplici.

Al suo posto resterebbe invece Giancarlo Giorgetti, presidente della Bilancio stimato da tutti i partiti e che - ora - può vantare anche un valore aggiunto: essere stato allievo di Mario Monti in Bocconi. Dentro e fuori il Parlamento la scelta di stare «contro» arriva come un balsamo. Anche sulle divisioni interne che hanno agitato il partito per mesi e che ora ritrovano una linea di unità sotto il segno del «no».
Tornerà quindi la Lega di lotta confortata da una base che si era mostrata sempre più insofferente contro le scelte del Governo Berlusconi e che rimetterà 'in linea' chi non lo era come Flavio Tosi, per esempio, o Attilio Fontana. Il punto interrogativo saranno i congressi, attesi tra la primavera e l'estate.
Li. P.

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