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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2011 alle ore 08:42.

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«Risanare la situazione finanziaria». E poi «promuovere la crescita con attenzione all'equità sociale». Due frasi che sono già due filoni per il futuro programma del premier incaricato Mario Monti. Ed è coerente con quanto ha sempre espresso. «Non basta la determinazione contabile se accanto non c'è lo sforzo ad aumentare la crescita economica», questo diceva quando era ancora solo il presidente della Bocconi.

E su queste basi c'è una forte condivisione con il capo dello Stato che al termine del suo incontro con Monti ha ricalcato quelle stesse parole: «La prospettiva è il miglioramento della crescita e dell'equità sociale del Paese nella sua unità».

E allora la declinazione di questi principi passa innanzitutto dal risanamento viste le pressioni europee per il mancato obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. Un warning che mette l'Italia – e metterà Monti – sulla strada di una correzione dei conti che viene già quantificata in circa 25 miliardi di euro mentre si discute delle misure che potranno entrarvi. Il ripristino dell'Ici potrebbe essere uno dei punti: Giulio Tremonti, nella lettera di risposta alla Ue, ha quantificato in 3,5 miliardi di euro il ritorno della tassa sulla casa. Ed è probabile anche l'introduzione di una patrimoniale sulle grandi ricchezze (superiori a un milione di euro). E servirà ancora tagliare sui costi dell'amministrazione statale.

«I tagli senza le riforme sono solo agonia», diceva ieri Giuliano Amato, uno dei probabili ministri della squadra di Governo. Un'affermazione coerente con il pensiero economico di Mario Monti che, accanto al rigore, ha sempre messo le riforme e le politiche per lo sviluppo facendone un suo punto di critica verso l'ex ministro Tremonti. Dunque, insieme a una manovra correttiva ci sarà contestualmente un pacchetto di riforme su liberalizzazioni, privatizzazioni, pensioni, mercato del lavoro.

La declinazione dell'equità, infatti, non ci sarà solo attraverso una patrimoniale ma anche sul fronte dell'apertura dei mercati e del mercato del lavoro recuperando risorse anche da una riforma delle pensioni (con presumibile abolizione delle anzianità) per dirottarle verso la formazione e un sistema di welfare spostato sui giovani più che sugli anziani. «Lo dobbiamo ai nostri figli per dargli un futuro di dignità e speranza», diceva dal Quirinale Monti. E presumibilmente la direzione è quella di lasciare alle generazione dei giovani una maggiore apertura dei mercati – dagli ordini professionali, servizi pubblici locali, industrie a rete (energia, trasporti, telecomunicazioni) – e maggiore competitività. L'altro obiettivo è migliorare la performance della produttività italiana: oltre le liberalizzazioni torna il tema del lavoro, della parificazione tra insiders e outsiders anche attraverso una nuova disciplina dell'articolo 18 e di un maggiore decentramento contrattuale con salari agganciati alla produttività. Un passo che potrebbe essere compiuto con più forza nel settore del pubblico impiego.

E poi l'altro grande capitolo sarà quello dell'efficienza fiscale e dello spostamento del carico dal lavoro/impresa ai consumi/patrimoni. «Tagliare le tasse è desiderabile ma non ci sono margini», lo diceva qualche mese fa accedendo all'idea di una redistrubuzione del carico fiscale, una strada – anche questa – che realizza quell'idea di equità di cui ha parlato ieri. E in questo senso si può immaginare anche un'offensiva sull'evasione fiscale a cominciare dall'introduzione di una tracciabilità dei pagamenti a partire da somme contenute, dai 200 ai 300 euro.
Infine, le privatizzazioni.

Sui questo punto Monti è stato più volte chiarissimo nell'interpretare il «patriottismo economico» non come un mettere barriere ad acquisizioni dall'estero «che rappresentano un colbertismo de' noantri». Il riferimento all'ex ministro Tremonti è evidente e dunque anche su questo capitolo ci si aspetta un cambio di logica.

Ma le due strade parallele non sono solo il risanamento e la crescita ma anche l'economia e le riforme istituzionali. Due strade in cui il lavoro del Governo e del Parlamento non si incroceranno. Nei colloqui avuto fin qui con i leader politici – da Bersani ad Alfano a Casini – è emersa con chiarezza la volontà di andare al prossimo voto con una nuova legge elettorale, tanto più sotto la pressione di un referendum. E si tenterà di nuovo di incidere sui costi della politica a cominciare dalla riduzione del numero dei parlamentari.

Su questo punto Bersani è stato molto chiaro allungando così la data di scadenza del Governo Monti. Uno dei temi è infatti la durata del nuovo Esecutivo: il Pd lo allunga fino alla scadenza della legislatura, lo stesso ha fatto Pier Ferdinando Casini e implicitamente pure Angelino Alfano accedendo all'idea che possa durare fino all'attuazione del programma. E il programma non è di quelli facili facili.

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