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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2011 alle ore 07:40.

Ci sono momenti nella storia di un Paese in cui è necessario che i partiti sospendano le ostilità per il conseguimento di obiettivi comuni. La formazione del governo Monti risponde a questa esigenza. Il fatto che sia di tecnici è un elemento secondario. Ciò che conta è che sia di tregua, sostenuto da tutte le principali forze politiche. Di questo il Paese ha bisogno.

In questi giorni si è discusso sulla legittimità democratica di un governo di tecnici. La tesi più radicale, sostenuta da tutti coloro che avrebbero preferito il voto subito, è che questo sia un esecutivo poco democratico o addirittura non democratico. Si è arrivati a parlare addirittura di sospensione della democrazia come se a Monti fossero stati concessi poteri emergenziali tali da configurare una sorta di dittatura pro tempore. Va da sé che si tratta di una tesi completamente infondata. Fortunatamente non siamo arrivati al punto di dover ricorrere a una soluzione di questo tipo come invece fece la Francia nel 1958. È banale far notare che ogni proposta del governo dovrà essere approvata in Parlamento dai rappresentanti del popolo. La democrazia è questo.

In realtà i sostenitori della presunta illegittimità democratica del governo Monti confondono la sospensione della democrazia con la sospensione della competizione. La competizione tra partiti e tra schieramenti è una modalità del funzionamento della democrazia ma non è la democrazia. Questo governo è nato perché in un clima di scontro permanente non è possibile prendere le decisioni necessarie per far uscire il paese dalla crisi. In questo momento alla competizione tra opzioni partigiane va sostituita la collaborazione su un programma comune.

Un governo di parte non può farlo perché non può non tener conto della sua base elettorale. Per quanto possa sembrare cinico, la priorità di ogni politico 'razionale' è quella di incrementare le sue possibilità di rielezione, non quella di segare il ramo su cui è seduto. Per questo in caso di conflitto tra interesse nazionale e interesse di parte il più delle volte prevale il secondo. È più facile scaricare i costi di una politica di austerità su chi perde le elezioni oppure non decidere nulla. Ora, a distanza di appena un anno e mezzo dalle prossime elezioni, l'unica soluzione possibile è quella di un governo che serva a condividere i costi elettorali di una politica di austerità. La chiave del successo sta nella sua capacità di formulare un programma ispirato al criterio della equità, Questo vuol dire due cose. I sacrifici economici devono essere distribuiti in maniera che pesino proporzionalmente di più sui ceti più abbienti. I costi politici devono essere distribuiti in modo tale che nessuno dei partiti che sostengono il governo sia colpito più degli altri nei suoi interessi elettorali.

Per riuscire nell'impresa il presidente del consiglio dovrà abbinare sapientemente misure impopolari per gli uni e per gli altri. E questo può essere fatto solo da un governo bipartisan. Non è detto che ci riesca. In parte dipenderà dalla abilità del presidente del consiglio e dalla sua capacità di comunicazione. In parte dipenderà dalla consapevolezza condivisa della gravità della crisi. È soprattutto su questo fattore che poggia l'attuale collaborazione tra diversi. Per il ritorno alla competizione c'è tempo.

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