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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2011 alle ore 15:28.

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Si ricomincia dopo la sosta con le partite clou nei due anticipi. La Lazio mette alla prova il suo primato in classifica contro il Napoli che già pensa alla sfida decisiva di Champions con il Manchester City di Balotelli. Il Milan cerca di ribadire a Firenze lo schema 3-4 (i gol fatti per ogni partita) che applica a ripetizione. La Fiorentina, in piena crisi, punta le sue carte sulla cabala e sulle capacità del nuovo allenatore, Delio Rossi, di caricare l'ambiente. Pronostico chiuso, sulla carta. In campo si vedrà.

La saga di Calciopoli: ultimo appello per una storia senza fine
Brutti scherzi di un calcio senza pace. Scena prima. La Nazionale di Prandelli sale al Colle e per voce del capitano Buffon invoca una guida "coesa e responsabile" per il Paese, garantendo reciproca responsabilità e senso dello Stato da parte dei calciatori per onorare il nome dell'Italia sempre e comunque.

Scena seconda.
A non molta distanza dalle sale del Quirinale si odono parole durissime da parte di un grande incassatore qual è il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete: "Siamo noi che dovremmo chiedere i danni". La frase è rivolta al prence pallido e triste della casata Agnelli che ha appena chiesto una camionata di soldi alla Figc (444milioni di euro) a titolo di risarcimento per i mancati introiti della Juventus dovuti alle condanne sportive.
Nella storia senza fine di Calciopoli si apre l'ennesimo capitolo dai toni grotteschi: si chiedono i danni non agli autori dell'imbroglio, ma ai danneggiati. Intanto l'ex ferroviere Moggi mostra di non gradire lo scarico di responsabilità e ricorda al giovane e smemorato Andrea che all'epoca dei fatti contestati era direttore generale della Juve e che le sim card svizzere non è andato lui in tabaccheria a comprarle.

Le parole di Abete pare comunque abbiano aperto una breccia nell'interminabile querelle e le parti in contrasto mostrano finalmente disponibilità al confronto. C'è tuttavia da dubitare della buona volontà, dato il deprecabile e perdurante vizio di troppi dirigenti di questo mondo di camminare, come gli indovini del sommo Dante, nella bolgia infernale calcistica con lo sguardo perennemente rivolto all'indietro.
Il guaio è che nel Paese dove tutti si spacciano per tecnici del pallone, non si può nemmeno invocare un governo di soli tecnici.

Braveheart
La monumentale saga "Io, Ibra" si avvia alla conclusione per mancanza di protagonisti, tutti messi kappaò dal grande svedese. Siamo all'epilogo, tra rumore di ossa e cazzotti veri e finti. Anche l'editore ha placato le sue richieste e ora sul campo di battaglia resta il nostro Bad Boy, eroe cattivo e solitario, come impone il copione.
Le luci si riaccendono sui terreni da gioco e sfumano i dibattiti sulla biografia del guerriero slavo-vichingo, sulle infanzie negate e sugli esempi forniti dal divo. Restano lampi di pura comicità, quelli sì d'alta classe, come le imprese del manager di Ibra, Mino Raiola.
Secondo il racconto del nostro Braveheart, nel pieno delle trattative tra Aiax e Juve, Raiola si alza e si mette a palleggiare tra i tavoli dove giacciono in ordine sparso le carte miliardarie pronte alla firma. L'ex pizzaiolo volteggia tra sguardi attoniti, facendo roteare il pallone come anni prima era uso fare con il soave impasto prima d'infilarlo nel forno a legna. "Dai, giochiamo!" esclama felice il leggiadro manager. Par di vederli gli austeri olandesi, talmente felici da compensare quei momenti di gaudio con l'offerta di un piccolo gadget a Ibrahimovic: una delle tre Ferrari Enzo ancora disponibili, si sussurra recuperata "da Montezemolo in persona".

Superman SuperMario
Per un bad boy perduto (ma solo nelle biografie) c'è un bad boy ritrovato, Mario Balotelli. Il fuoriclasse bresciano ha deciso di accendere i fuochi d'artificio non più in casa sua, ma in campo. Ha prima trascinato la Nazionale al successo in terra polacca e poi è stato tra i migliori anche nella sfortunata partita contro l'Uruguay. Teniamocelo stretto, invocano i cronisti e ogni gesto del ragazzo è ora accompagnato da un suono di violini: il bacio alla maglia azzurra, l'aperto sorriso al presidente della Repubblica. Persino Max Mad, il miliardario della porta accanto, ora lo rivorrebbe alla sua corte, dimenticando volentieri quella maglia nerazzurra gettata per terra e calpestata. Meno male che il ragazzo provvede con la sua sincerità a diluire l'eccesso di melassa. Con l'urticante slang della terra che lo ha allevato (che è poi anche la mia, ndr) dispensa interviste, parla del campionato italiano che non l'attrae e della Premier che lo ha conquistato, di Milan e Inter, della sua famiglia. Alla fine la risposta più bella alla domanda ovvia: "Mario, perché parli così poco? E lui: "Su di me, soprattutto i giornali inglesi, raccontano palle micidiali. Comunque meglio stare zitti che sparare c…". Il linguaggio è ruvido, ma la sua schiettezza apre uno squarcio di luce in questo mondo sovraccarico di parole in libertà. Grazie, SuperMario. E buon campionato a tutti.




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