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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2011 alle ore 12:26.
Sanzioni internazionali o uniterali
Le sanzioni internazionali, vale a dire approvate nel consesso delle Nazioni Unite, sarebbero certamente più efficaci perché obbligherebbero ogni suo Paese membro – sono 193 (incluso l’Iran) - ad osservarle. Tuttavia, l’opposizione di Cina e Russia, due super potenze con diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu, le rende al momento una via non percorribile.
Ecco, allora, che si apre la strada delle sanzioni unilaterali, o comunque da pluralità o da una comunità di stati. Gli Stati Uniti hanno già varato un embargo unilaterale contro l’Iran. L’Unione europea starebbe valutando di inasprire le sanzioni. Secondo diversi analisti un embargo petrolifero, fino a poche settimane fa considerato improbabile, è ora più vicino. Il vecchio continente sembra dunque aver perso la pazienza davanti ai continui temporeggiamenti di Teheran, e davanti alla sua ostinazione nel proseguire il programma nucleare senza offrire la collaborazione richiesta dalla Comunità internazionale. Perché Teheran - come ha scritto nel suo ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’Energia atomica - è vicina alla costruzione di ordigno atomico e sembra intenzionata a realizzarlo.
I rapporti energetici tra Iran ed Europa
Per quanto geograficamente vicina, l’Europa non è certo il primo mercato iraniano. Nel 2011 Teheran ha esportato ogni circa 450mila barili di petrolio al giorno nei Paesi Ue, circa il 7% del import complessivo di greggio europeo. Due giorni fa, alla domanda se un embargo europeo potrebbe mettere a rischio la sicurezza energetica dell’Europa, il commissario europeo all’Energia, Guenther Oettinger, ha dichiarato: «Non è un problema. Può essere sostituito dall’Opec e da altri (Paesi produttori, ndr)».
Italia la più esposta
Non è un problema per molti paesi europei, per l’Italia, invece, lo sarebbe. Se tre quarti dell'export iraniano finiscono in Asia, soprattutto in Cina e Giappone, l’Italia sarebbe comunque il Paese europeo a dover affrontare l'impatto più pesante in caso di sanzioni. Sul nostro paese pende ancor la spada di Damocle della Libia. Tripoli è il nostro storico fornitore di greggio. Lo scorso gennaio, un mese prima dello scoppio della rivolta, copriva il 24% del nostro import complessivo. In pratica un barile su quattro arrivava dall’ex regno del Colonnello Gheddafi.
La guerra civile in Libia ha dunque ridisegnato la cartina degli acquisti italiani di greggio. I dati forniti al Sole 24 Ore dall'Unione petrolifera italiana segnalano che la petro-dipendenza dall'Iran è ancora alta. A metà mese alcune fonti del settore energetico italiano, sotto anonimato avevano affermato: «Abbiamo ricevuto pressione da parte del Governo per ridurre i rifornimenti dall'Iran. Ma, dal momento che finora non esiste un embargo, abbiamo continuato ad approvvigionarci da un cliente che riteniamo comunque affidabile».
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