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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2011 alle ore 12:26.
Così l'Italia ha sì diminuito gli approvvigionamenti da Teheran, ma non nella misura in cui lo hanno fatto altri partner europei. La Germania le ha in pratica azzerate, così come il Regno Unito. La Francia le ha ridotte al 4,2 per cento. Con una quota del 15,6% del nostro import complessivo, da gennaio a settembre 2010 l'Iran è stato il nostro secondo fornitore dopo la Libia. (l'Arabia Saudita era al 6,9%) Nello stesso periodo dei quest’anno la quota di mercato iraniana è scesa al 13,3%, appena dietro a Riad (13,7%) e un po' più distante da Russia (16,2%) e Azerbaijan, il piccolo Stato del Caucaso divenuto il nostro primo importatore (17,9%). Spagna e Grecia non sono messe meglio. Dall’Iran Madrid acquista il 15,5% del suo import complessivo, Atene il 13%, anche se , di recente, ha intensificato gli acquisti. Temendo un possibile insolvenza diverse banche non si fidano più a concedere lettere di credito alle due società di raffinazione del Paese – la Hellenic Petroleum e laMotorOilHellas – e i Paesi fornitori di greggio hanno cominciato a rifiutare l’invio di carichi.
Raffinerie preoccupate
Il commento rilasciato al Sole del direttore dell'Unione petrolifera è motivo di preoccupazione le raffinerie italiane, che già devono scontare, oltre alla perdita del greggio libico, anche il blocco delle importazioni dalla Siria, Paese che comunque copriva il 3% del nostro fabbisogno. «I margini delle raffinerie – ha continuato De Simone - sono già sottili. Un embargo dell'Iran avrebbe effetti molto pesanti sul mercato europeo della raffinazione, in particolare su quello italiano che presenta già costi maggiori rispetto agli impianti asiatici. Impianti che non soffrono i nostro costi in materia ambientale e sociale, e che comunque sono molto grandi».
Certo, ci si potrebbe rivolgere ad altri mercati; l'Azerbaijan quest'anno è divenuto il nostro primo fornitore e gli acquisti dall'Arabia Saudita sono cresciuti di parecchio e c'è sempre il petrolio russo. Ma sono soluzioni comunque più onerose. Il greggio di qualità azero costà più del corrispondente libico e quello russo è stato ultimamente aumentato. «Il greggio russo è esaurito. Ci sono solo quantitativi marginali sui mercati spot, decisamente più costosi, soprattutto se conforntati con il greggio iraniano», hanno precisato al Sole fonti del settore che stanno diversificando gli approvvigionamenti. Lo stesso direttore generale della Saras, Dario Scaffardi, ha confermato che l'impatto di un'interruzione del greggio iraniano sulle raffinerie italiane - in termini di aumento dei prezzi di acquisto del greggio e di ripercussione sui margini - sarebbe pesante. Anche l'agenzia Reuters ha denunciato l'allarme di diversi trader petroliferi italiani, i quali hanno definito l'eventuale perdita del greggio iraniano «un disastro».
E Pechino sorride
Dall’embargo sembra che la Cina possa trarne vantaggio. Da gennaio a ottobre Pechino ha aumentato del 33% gli approvvigionamenti da Teheran, divenuta suo terzo fornitore.
Paradossalmente gli sconfitti potrebbero essere proprio i Paesi della Ue. In caso di embargo europeo l’Iran non riceverebbe un danno ingente. E questo perché continuerebbe a vendere il suo greggio su altri mercati, soprattutto verso i paesi consumatori asiatici, Cina in prima linea. Offrendo un prezzo più competitivo per renderlo più allettante. L’effetto di questo meccanismo? Già molto competitive, le raffinerie asiatiche acquisterebbero lo stesso greggio a prezzi inferiori e potrebbero rivendere prodotti raffinati, ottenuti con il greggio iraniano, a quelle europee o ai mercati terzi che lo acquistano dalle raffinerie europee. A prezzi più competitivi. Già in difficoltà per i “sottili” margini di raffinazione, e per una limitata flessibilità nel processare diverse qualità di greggio, diverse raffinerie europee, in particolare quelle italiane, si troverebbero in difficoltà.
India, Giappone e Corea.
Anche India , Giappone e Corea del sud, sono grandi clienti di Tehran. Tokyo ha importato 341mila barili al giorno, New Delhi 341mila e 244mila. In termini assoluti più dell’Italia. Ma la quota percentuale del greggio iraniano sul loro import, per ciascuno rappresenta il 10 per cento, è comunque inferiori a quella dell’Italia.
L’Iran
Quinto produttore mondiale di greggio, e secondo dell’Opec, l’Iran le seconde riserve al mondo: 137 miliardi di barili (circa il 10% delle riserve mondiali) La Repubblica islamica soffre di un malattia che affligge, seppure in forme di diversa gravità, diversi Paesi esportatori di greggio: la petro-dipendenza. Secondo i dati del Dipartimento americano dell’Energia le vendite di petrolio hanno rappresentato l’80% dell’export iraniano. Grazie ai rincari del greggio, il 2011 sarà ricordato come un anno dalle vacche grasse. L’Iran dovrebbe ricavare più di 80 miliardi di dollari. Un embargo certamente avrà un impatto negativo sul suo bilancio, ma, secondo gli esperti, non così consistente come i Paesi determinati a inasprire le sanzioni si aspetterebbero. Altra cosa se Cina e Russia appoggiassero simili provvedimenti. Ma questa è un’altra storia.
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