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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2011 alle ore 09:32.

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ROMA - Era una settimana che se ne stava zitto. Troppo tempo. E così ieri ha deciso di recuperare anche gli arretrati. «Questo governo fa schifo, non arriverà al 2013», dice Umberto Bossi. E fin qui nulla di così eclatante, visto che la Lega è l'unico partito all'opposizione di Monti. Ma poi ecco che il Senatur mette in mezzo Berlusconi: «Lo hanno ricattato, per le sue aziende, per questo si è dimesso». E per rendere più verosimile l'affermazione aggiunge: «C'ero anch'io quando i suoi dirigenti gli hanno detto: Silvio, qui ti distruggono le imprese, vai a dimetterti».
Una testimonianza che però poco dopo viene smentita dall'ex premier. Con una nota ufficiale diffusa da Palazzo Grazioli, si sottolinea che le dimissioni di Berlusconi sono state motivate «dal senso di responsabilità e dal senso dello Stato, nell'interesse esclusivo del Paese». Poi, rivolgendosi probabilmente anche allo stesso Bossi, si legge: «Chi ha seguito le vicende di quei giorni sa bene che non esiste nessuna altra motivazione».

n botta e risposta che certifica la difficoltà del momento tra il Cavaliere e il suo ex «più fedele alleato». Del resto Bossi, a chi gli chiedeva di un possibile incontro con Berlusconi, ha replicato dicendo esplicitamente che «è troppo presto», che dipende da quel che farà il governo e da come si collococherà il Pdl. Non è quindi il caso di parlare ora di alleanze, di un possibile ritorno assieme che, al momento, sembra «lontanissimo». Al Carroccio resta indigesta la scelta del Pdl di appoggiare un governo «degli improvvisati», capeggiato da un «capocordata» che «le montagne le ha viste solo in cartolina». Parole che Bossi sa bene quanto siano apprezzate dalla sua base, che ha visto come una liberazione la fine dell'alleanza con il Cavaliere.

Berlusconi però l'uscita del Senatur brucia. Soprattutto perché l'ex premier, fin dal momento delle dimissioni, ha scelto di ricucirsi addosso l'abito del moderato, del servitore dello Stato, che sceglie di farsi da parte nonostante sia convinto «di non avere colpe». «Stiamo risalendo nei sondaggi», ha detto ieri nel vertice convocato a Palazzo Grazioli prima di lasciare Roma. I dati in possesso del Cavaliere assegnerebbero al Pdl il 28% dei consensi. «Adesso che lo spread rimane a quota 500 e il rendimento dei nostri titoli supera il 7% è chiaro a tutti che non ero io il responsabile...», ha sottolineato Berlusconi. Certo il Pdl dovrà assumersi la responsabilità anche di varare misure impopolari come il ritorno dell'Ici e forse la patrimoniale: «Ma ci saranno sorprese, qualcosa per far capire ai nostri elettori che non siamo d'accordo, che se non facciamo cadere Monti è solo per evitare il peggio...», avvertiva ieri un dirigente del partito di via dell'Umiltà. Berlusconi peraltro ha anche confermato che non si ricandiderà. Una dichiarazione che arriva dopo che già Alfano aveva annunciato la disponibilità del ricorso alle primarie per l'indicazione del candidato premier.
B.F.

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