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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2011 alle ore 06:41.

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IL CAIRO. Dal nostro inviato
Una manifestazione in piazza Tahrir per la rivoluzione e una a dieci minuti di distanza, in piazza al-Abassiya, a sostegno dell'esercito. Sarà una giornata calda quella di oggi. «Noi non andremo in nessuna delle due piazze», dice con un certo distacco Mahmoud Ghozlan. «Abbiamo una conferenza su Gerusalemme all'Università islamica di al-Azhar».
Il nuovo quartier generale dei Fratelli Musulmani, quattro piani di uffici freschi di vernice, non è più la sede di un movimento di lotta ma di un partito di governo. Nel quartiere né ricco né povero di Mokattam, sulla collina, c'è una distanza fisica e anche politica da piazza Tahrir e da quello che sta accadendo. Ieri i militari che guidano la più contestata delle transizioni, hanno nominato il nuovo premier, confermato le elezioni parlamentari di lunedì e si sono scusati per le violenze della polizia contro i giovani. Ieri pomeriggio attorno alla piazza non c'era più la polizia ma l'esercito. Poi se ne sono andati anche i militari. Le barriere sono state tolte e le strade della battaglia ripulite.
«È quello che volevamo noi: il ritorno dell'ordine e un rapido trasferimento dei poteri dai militari ai civili. Oggi ci saranno altre manifestazioni, ma senza incidenti, credo». Nella sintesi di Mahmoud Ghozlan, membro dell'ufficio esecutivo, il politburo dei Fratelli musulmani, c'è come un senso di vittoria. «Non crediamo che la soluzione proposta dai giovani di piazza Tahrir sia giusta: loro vogliono tutto subito, noi pensiamo che i problemi si risolvano giorno dopo giorno. Se cacciamo ora l'esercito c'è il vuoto istituzionale e il caos». Prendere le distanze dai giovani che sono il simbolo del cambiamento egiziano per la Fratellanza da tempo non è più un tabù politico. «Quale Egitto rappresentano? In piazza Tahrir c'è Facebook e Twitter. In Egitto ci sono 50 milioni di elettori e una maggioranza silenziosa che determinerà il risultato delle elezioni più di chiunque altro».
E voi, naturalmente, credete di sapere cosa vuole l'egiziano medio. «Sì», risponde Mahmoud Ghozlan. «Una transizione rapida per uscire dallo stato di confusione nel quale viviamo. La gente vuole sicurezza, cerca la risposta alle essenziali richieste economiche, istituzioni che garantiscano la libertà». Marginalizzare la piazza appare come una rinuncia delle radici e della linfa che ha dato forza alla Fratellanza con un forte seguito popolare. Ma nella ricostruzione degli avvenimenti di questa settimana decisiva che offre Ghozlan, le cose sono diverse. «In piazza c'eravamo anche noi. La settimana scorsa il Governo aveva annunciato revisioni costituzionali che avrebbero messo l'esercito al di sopra di tutto: Parlamento, leggi, popolo. Venerdì siamo scesi in piazza con i giovani a protestare. Poi ne siamo usciti perché era il momento di pensare alla politica. E sono cominciate le violenze: la polizia ha provocato i giovani, i giovani si sono difesi, ci sono stati i morti e il caos. Intanto noi abbiamo parlato ai militari e abbiano detto che sbagliavano a cercare una soluzione turca per l'Egitto; abbiamo ricordato che i nostri fratelli turchi hanno perso 40 anni per togliere il potere ai militari e cambiare le cose. Noi, qui in Egitto, non avremmo aspettato tanto».
I Fratelli musulmani non parteciperanno nemmeno al Governo di salute pubblica - la Giunta militare ne ha affidato ieri la guida a Kamal Ganzouri, un tecnocrate già premier ai tempi di Mubarak - che sostituirà l'attuale Esecutivo dimissionario sotto il controllo dei militari. «Non ha senso», dice Ghozlan. «Ci saranno le elezioni, poi un Governo di coalizione: con noi e i partiti più importanti perché nessuno, da solo, può risolvere i problemi dell'Egitto. Infine entro giugno faremo le elezioni presidenziali». Mahmoud Ghozlal non riesce a nascondere la convinzione che la Fratellanza sarà il primo dei partiti scelti dagli egiziani. Il cammino graduale verso il potere, per non spaventare troppo gli avversari, è stato deciso da tempo: attraverso il loro partito Giustizia e libertà, gli islamici concorreranno al 60% dei seggi parlamentari e non presenteranno un loro candidato alle presidenziali. Ma nell'Egitto di domani contano di avere il premier. «È possibile», conclude Mahmoud Ghozlal. «Sì, si può pensare a un primo ministro dei Fratelli musulmani».
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