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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2011 alle ore 08:13.

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La Francia è decisa a chiederle, in occasione della prossima riunione dei ministri degli esteri europei, giovedì prossimo a Bruxelles. La Gran Bretagna sembra d'accordo. Anche l'Italia intende agire in concerto con i partner europei. Mai come oggi l'ipotesi di un embargo petrolifero contro l'Iran - fino a poco tempo fa considerata l'ultima, estrema arma - è stato così vicino. Preso atto dell'ultimo rapporto dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica - in cui si denuncia che l'Iran vuole costruire un'arma atomica - l'Europa sembra aver perso la pazienza.
Al di là della legittimità del provvedimento, una simile misura rischia però di rivelarsi un'arma a doppio taglio. Che potrebbe danneggiare l'Europa, ma soprattutto i Paesi in questo momento più fragili della zona euro: Grecia, Spagna e Italia. E nello specifico le nostre raffinerie, che non solo rischiano di subire un'ulteriore contrazione dei margini, ma potrebbero veder irrompere nei nostri mercati prodotti asiatici raffinati più a buon mercato, ottenuti anche con il greggio iraniano.
L'embargo approvato dall'Onu sarebbe più efficace, obbligherebbe ogni Paese membro a osservarlo. Ma l'opposizione di Cina e Russia, potenze con diritto di veto, lo rende al momento una via non percorribile. La soluzione sembrano sanzioni unilaterali o da parte di comunità di Stati. «Siamo convinti che debba essere rafforzata la pressione sanzionatoria sull'Iran - ha detto ieri mattina Maurizio Massari, portavoce del ministero degli Esteri -. Stiamo facendo moral suasion sulle nostre aziende per diversificare le fonti di importazione di petrolio». Nel pomeriggio Massari ha dichiarato al Sole 24 Ore: «Stiamo considerando tutte le opzioni, ma l'Italia si muoverà in concerto con i Paesi della Ue e con gli Usa. Moral suasion significa operazione di persuasione, e non di pressione. Siamo consapevoli degli interessi italiani».
Ma quando si passa dalla sfera politica a quella dell'economia, la cautela di Massari si trasforma in grande preoccupazione. «Sembra quasi certo che si vada in questa direzione - ha spiegato al Sole 24 Ore, Pietro De Simone, direttore dell'Unione petrolifera italiana -. Il petrolio iraniano è molto importante; le nostre raffinerie sono strutturate per lavorare greggi pesanti, come quello iraniano appunto, adatto ai prodotti bituminosi. Trovare alternative richiede tempo e sarebbe molto più costoso».
Eppure l'Europa non è il primo mercato iraniano. Nel 2011 Teheran ha esportato 450mila barili al giorno nella Ue. Martedì, alla domanda se un embargo pregiudicherebbe la sicurezza energetica dell'Europa, il commissario europeo all'Energia, Guenther Oettinger, ha risposto: «Non è un problema. Può essere sostituito dall'Opec e da altri Paesi».
Non sarà un problema per altri Paesi, per l'Italia, invece, sì. Se tre quarti dell'export iraniano finiscono in Asia, soprattutto in Cina e Giappone, in Europa sarebbe l'Italia a subire l'impatto più pesante Sul nostro Paese pende ancora la spada di Damocle della Libia, che prima della rivolta copriva il 24% del nostro import. L'Italia ha sì diminuito l'import da Teheran, ma poco, e non nella misura in cui lo hanno fatto altri Paesi. La Germania lo ha in pratica azzerato, come il Regno Unito. La Francia lo ha ridotto al 4,2 per cento. La quota di mercato iraniana sul nostro import è invece del 13,3%, appena dietro a Riad (13,7%), e più distante da Russia (16,2%) e Azerbaijan (17,9%). Dall'Iran, Madrid acquista invece il 15,5% del suo import, Atene il 14.
In un quadro già negativo si inserisce anche il blocco dell'import dalla Siria, Paese che copriva il 3% del nostro fabbisogno. Il risultato? «L'effetto di un'interruzione delle importazioni dall'Iran - ci spiega Dario Scaffardi, direttore generale di Saras – avrebbe un impatto molto pesante. Si verificherebbe un aumento dei prezzi del greggio e dei prodotti raffinati, con conseguenze negative sull'economia. Più nello specifico le raffinerie si troverebbero in gravi difficoltà; un greggio simile a quello iraniano non è, in buona parte, disponibile. E quello che potrebbe essere sostituito avrebbe un costo maggiore». «Al momento – conclude Scaffardi - non c'è ulteriore disponibilità di petrolio russo. Un'alternativa, ma non scontata, potrebbe venire dall'Arabia Saudita, paese che tuttavia sta intensificando l'export verso l'Asia».
Dall'embargo potrebbe invece essere avvantaggiata la Cina. Da gennaio a ottobre ha aumentato del 33% l'import da Teheran, ora suo terzo fornitore. In caso di embargo europeo l'Iran potrebbe continuare a vendere il suo greggio verso i Paesi asiatici, Cina in prima linea, offrendo un prezzo competitivo per attrarli. «La raffinazione petrolifera - continua Scaffardi - è in uno stato di crisi sistemica, con margini negativi da due anni. Dovuta, da un parte al calo strutturale della domanda, dall'altra al fatto che alcuni Paesi dell'Estremo Oriente hanno offerto incentivi e sussidi di varia natura ai raffinatori locali. In questi Paesi le normative sulla sicurezza e l'ambiente sono molto meno stringenti rispetto all'Europa. Ciò consente costi produttivi decisamente inferiori e provoca l'export di prodotti raffinati in Europa a costi distorti. Questo trend sarebbe ulteriormente accentuato da un embargo». «Con un embargo in tempi rapidi - conclude De Simone - non è escluso che le raffinerie più in difficoltà possano chiudere».
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