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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2011 alle ore 08:12.

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Dopo sette mesi di prigionia in una "tortuga" dei pirati nel Nord della Somalia la motonave Rosalia D'Amato è stata liberata ieri con l'equipaggio composto da 16 filippini e sei italiani. Le prime notizie del rilascio della nave italiana, provenienti da ambienti vicini all'intelligence, erano trapelati nella tarda mattinata ma la conferma è giunta nel pomeriggio quando il comandante della nave, Orazio Lanza, ha telefonato all'armatore per comunicare che nave ed equipaggio erano stati liberati e a bordo «stiamo tutti bene».

Carlo Miccio, responsabile della sicurezza della società armatrice napoletana Perseveranza Navigazione, ha prudentemente dichiarato: «Per noi non è ancora avvenuta la liberazione visto che la nave è ancora nelle acque somale» aggiungendo che «stiamo lavorando con la Farnesina per poter aver notizie più certe».

Tutte da chiarire le ultime fasi della vicenda della nave sequestrata il 21 aprile scorso a 350 miglia dalle coste dell'Oman. Verso la Rosalia D'Amato si è diretto il cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria, nave ammiraglia della flotta antipirateria della Nato incaricata di assistere l'equipaggio e scortare il mercantile in un porto sicuro. «Non c'è stato nessun blitz, ma un'azione di coordinamento per far scendere i pirati con il supporto dell'unità navale che era in zona» ha detto Miccio, ma fonti vicine agli ambienti militari smentiscono che il Doria si trovasse già nell'area quando la Rosalia D'Amato è stata autorizzata dai sequestratori a lasciare le coste somale confermando che la nave da guerra è arrivata in prossimità del mercantile solo nella notte. L'ipotesi più credibile è che il cargo sia formalmente libero ma abbia bisogno di rifornirsi di carburante prima di salpare poiché di solito i pirati svuotano i serbatoi delle navi catturate per scongiurare tentativi di fuga. Il rifornimento è una procedura lunga e complessa per l'assenza di sistemi di rifornimento moderni e sono gli stessi pirati a dover trasportare la nafta a bordo della nave.

Per evitare il rischio di scontri a fuoco il Doria dovrà limitarsi a "ombreggiare" la Rosalia D'Amico, cioè a tenerla sotto il controllo radar e degli strumenti d'osservazione di bordo attendendo che possa muoversi autonomamente. Esprimendo soddisfazione per «come si è lavorato», Miccio ha negato che sia stato pagato un riscatto. «I pirati sono scesi dalla nave e sono scappati» ha detto aggiungendo che «sicuramente da parte nostra non è stato pagato nessun riscatto». Un copione consueto in questi casi, anche se nessuna delle decine di navi sequestrate è mai stata liberata dai pirati senza il pagamento di riscatti. Esistono però molti metodi per far arrivare il denaro ai sequestratori. In alcune circostanze sono stati gli armatori a versare il denaro attraverso intermediari, in altri casi sono intervenuti i servizi d'intelligence (e quelli italiani dispongono di ottimi contatti in Somalia) o la diplomazia, ma secondo indiscrezioni alcuni riscatti sono stati pagati anche con donazioni al governo di Mogadiscio che ha poi provveduto a saldare i pirati.
Resta in mano ai criminali somali un'altra nave italiana, la petroliera Savina Caylyn catturata l'8 febbraio con a bordo 5 italiani e 17 indiani, circa la quale indiscrezioni riferirono a metà ottobre di una probabile liberazione entro fine novembre.

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