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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2011 alle ore 17:58.

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L'Italia guidera' da gennaio la missione Onu in un Libano sempre piu' caldoL'Italia guidera' da gennaio la missione Onu in un Libano sempre piu' caldo

Condizionata dalle tensioni tra la comunità internazionale e l'Iran e dalla crisi del regime siriano la situazione nel Libano meridionale si fa sempre più difficile a due mesi dal nuovo comando italiano della missione Unifil.

Dopo la cattura da parte di Hezbollah, la settimana scorsa, della rete di informatori costituita dalla Cia nel "Paese dei cedri" Washington sta ripensando la sua politica nei confronti di Beirut. Molti aiuti accordati dagli Stati Uniti al governo libanese sono finiti nelle mani dei miliziani sciiti che pare abbiano utilizzato i sofisticati sistemi d'intercettazione forniti dalla CIA al controspionaggio libanese per individuare gli informatori al soldo dell'agenzia di Langley.

La guerra sotterranea che vede affrontarsi tra colpi di mano, omicidi mirati e virus informatici statunitensi e israeliani da un lato e iraniani dall'altro ha uno dei suoi campi di battaglia in Libano, dove gli Hezbollah sono considerati la lunga mano di Teheran in grado di colpire lo Stato ebraico. Il 23 novembre è esploso un deposito di armi di Hezbiollah nel Libano del Sud, forse per un sabotaggio. Come di consueto i caschi blu di Unifil, in questo caso italiani poiché l'esplosione è avvenuta nel loro settore, sono stati tenuti alla larga dai miliziani che in realtà proprio l'Unifil avrebbe dovuto disarmare in supporto all'esercito libanese che, almeno nel Sud, sembra invece fiancheggiare i miliziani sciiti. Difficile stabilire con certezza le cause dell'esplosione avvenuta a Siddiqin, a nord-est di Tiro, ma si tratta del terzo deposito di armi Hezbollah che salta in aria negli ultimi anni dopo quelli di Khirbet Selm nel 2009 e Shehabiyeh nel 2010. Lo stretto legame tra il Libano e la crisi internazionale scoppiata a causa del programma nucleare iraniano è stata confermata ieri a Teheran dal Consigliere militare della Guida suprema, Yahya Rahim Safavi, già comandante delle Guardie rivoluzionarie. "In caso di attacco da parte di Israele - ha detto ieri Safavi alla tv di stato in lingua araba Al Alam - Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza si uniranno nella battaglia. Non vi sarà nessun bisogno per l'Iran di lanciare missili balistici, perché le città dei sionisti sono nel raggio di azione dei katiusha dei nostri alleati Hezbollah". Negli ultimi anni molte fonti vicine all'intelligence hanno riferito del continuo potenziamento degli arsenali di Hezbollah non solo con razzi Grad da 122 millimetri e con una gittata di circa 30/40 chilometri ma anche con i più potenti Fajr e Zelzal iraniani in grado di colpire obiettivi tra i 75 e i 200 chilometri di distanza. Armi trasportate dalla Siria in Libano (nella regione della Bekaa) a partire dall'estate scorsa in seguito all'inasprirsi delle rivolte a Damasco e dintorni.

In pratica tutta Israele è sotto il tiro dei razzi di Hezbollah ai quali vanno aggiunti i Grad in dotazione ad Hamas nella Striscia di Gaza. Uno scenario bellico vedrebbe l'intero Libano del Sud trasformarsi nuovamente in prima linea dopo gli scontri dell'agosto 2006 nei quali l'offensiva terrestre israeliana si arenò sulle fortificazioni di Hezbollah costruite dai genieri iraniani. Una minaccia diretta anche per l'Italia che schiera al momento 1.080 militari lungo la Blue Line, la linea di confine tra Israele e Libano. A inizio novembre, con l'avvicendamento tra le brigate meccanizzate Aosta e Pinerolo, l'Italia ha completato in piani di riduzione del contingente in Libano previsti dal decreto di rifinanziamento delle missioni all'estero dell'agosto scorso. Dei due battaglioni operativi ne è rimasto uno solo rinforzato da uno squadrone di cavalleria con blindo Puma e Centauro che continua a presidiare l'area calda lungo la Blu Line cedendo a francesi e sudcoreani il settore più a nord, lungo il fiume Litani. Il numero di militari italiani impegnati è sceso progressivamente dai 2.400 dell'inizio 2010 ai 1.600 della primavera scorsa fino agli attuali 1.080.

Da gennaio l'Italia tornerà poi ad avere il comando dell'intera missione dell'Onu che schiera oltre 12 mila caschi blu. Tre generali di divisione sono stati candidati da Roma per la guida della missione dell'Onu il cui prossimo comandante verrà scelto in questa terna dal Dipartimento del Peacekeeping delle Nazioni Unite. Si tratta dei generali Leonardo di Marco, Flavio Godio e Paolo Serra, quest'ultimo dato per favorito dai "rumors" negli stati maggiori. Il ritorno dell'Italia alla guida di Unifil dopo i tre anni di comando del generale Claudio Graziano tra il 2007 e il 2010, è richiesto soprattutto dalle Nazioni Unite dopo il fallimentare biennio di comando del generale spagnolo Antonio Asarta Cuevas al quale molti attribuiscono la responsabilità di aver compromesso la credibilità delle forze dell'Onu e la collaborazione con l'esercito libanese giungendo a un passo dallo scontro con Hezbollah. Quel che è certo è che il nuovo comandante italiano, che si insedierà a fine gennaio, erediterà una situazione difficile e potenzialmente esplosiva.

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