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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 08:50.

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Standard & Poor's opta per un declassamento collettivo delle grandi banche americane, applicando nuovi criteri di rating per il settore che intendono tener conto dei rischi sistemici, della solidità degli istituti davanti a bufere economiche e della probabilità o meno di soccorsi governativi.
Il riesame ha interessato 37 colossi della finanza globale con esiti alterni: in venti casi - molte banche dell'Eurozona - il rating è stato confermato, mentre per 15 gruppi - anzitutto statunitensi e britannici - S&P lo ha limato. E non sono mancati nuovi protagonisti, in particolare asiatici, premiati dal riassetto dei giudizi: due istituti cinesi, Bank of China e China Construction Bank, sono stati promossi da A- ad A.
I sette maggiori gruppi statunitensi hanno tutti «perso» un gradino: Bank of America, Citigroup, Morgan Stanley e Goldman Sachs sono scesi ad A- da A. Anche istituti considerati tra i più solidi sono stati puniti: Wells Fargo e Bank of New York sono passate ad A+ da AA- e JP Morgan da A+ ad A. Tra gli europei colpiti ci sono Ubs, Barclays, Royal Bank of Scotland, Hsbc e Lloyds Banking. Rabobank ha subito un taglio doppio, ma prima era il solo a vantare una Tripla A. L'impatto del downgrade è stato mitigato dal fatto che S&P, a caccia di credibilità dai giorni del collasso di Lehman Brothers, l'aveva preannunciato. Il riesame era cominciato nel 2008, lo scorso gennaio erano emersi i criteri e nell'ultimo mese era parso chiaro che i rating avrebbero anche rispecchiato i «nuovi equilibri bancari», che possono favorire i mercati emergenti.
Nelle ore precendenti, inoltre, l'agenzia di valutazione del credito rivale Moody's aveva già messo sotto osservazione per possibile declassamento i bond subordinati di 87 istituti europei, dai francesi agli italiani, dagli spagnoli agli austriaci, in parte per riflettere la potenziale rimozione del sostegno pubblico. E aveva declassato in settembre le americane Bank of America, Citigroup e Wells Fargo.
Alcuni analisti hanno minimizzato la scelta di S&P. «I rating sono robusti» ha detto David Hilder di Susquehanna Financial. Oppenheimer li ha definiti un indicatore rivolto al passato, che non riflette adeguatamente la salute degli istituti americani. Ma non tutti sono ottimisti: il downgrade mostra «gli stress del sistema bancario», ha ammonito Guy LeBas di Janney Montgomery Scott. Gli istituti statunitensi sono anche reduci da bilanci appannati nel terzo trimestre, quando hanno pagato la volatilità dei mercati. E nel continuo clima di incertezza il nuovo downgrade può far lievitare i costi per le banche, sia di finanziamento sia in termini di garanzie per transazioni.
Bank of America aveva in passato calcolato che un simile taglio del voto le avrebbe imposto nuovi collaterali per 5,1 miliardi di dollari. I Cds sugli istituti Usa, per proteggersi da default, sono rimasti cari, guidati dagli oltre 500 punti base di Morgan Stanley. E Citigroup ha risposto ribellandosi apertamente: il taglio del rating, ha fatto sapere, non riflette il risanamento della banca.
Le banche che, al contrario, hanno ricevuto da S&P rating invariati comprendono le francesi Bnp Paribas e Credit Agricole, le tedesche Commerzbank e Deutsche Bank, le italiane Intesa Sanpaolo e UniCredit (entrambe con voto A).
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