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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 08:51.

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di Leonardo Maisano George Osborne potrebbe aver peccato di ottimismo. Aver immaginato altri cinque anni di austerity, due oltre il previsto; aver quasi raddoppiato, da 400mila a 710mila, il numero di posti di lavoro pubblici che saranno cancellati dalla crisi; aver ipotizzato una crescita del Pil che sarà una frazione di quella promessa; aver aggiunto 15 miliardi di ulteriori tagli alla spesa, infatti, rischia di non bastare. Per arrivare nel 2017 con il deficit strutturale azzerato, forse, ci vorrà altro. Secondo l'Office for Budget Responsibility, guardiano dei conti del Tesoro, ci sono sei chance su dieci che la cura annunciata due giorni fa dal Cancelliere dello Scacchiere, non basti. È possibile, anzi probabile. E se così sarà il governo conservatore di David Cameron, in anomala coalizione con i Liberaldemocratici di Nick Clegg, si sarà giocato il proprio futuro. L'equazione politica era semplice: stretta economica violenta per quattro-cinque anni e ritorno alle urne a fine legislatura con il Paese in sesto. Alle urne, l'esecutivo ci arriverà con i conti ancora in rosso, molto più in rosso di ogni pessimistica previsione. Un'altra ragione per "amare" l'euro, indicato ripetutamente come causa della tempesta che Londra cerca di navigare e, quassù, cordialmente detestato da tempi non sospetti, assai prima che la crisi si riverberasse sui conti.
Considerazioni politiche e passioni valutarie a parte, Londra ha un'altra emergenza, uscita con chiarezza dal tono e dalla sostanza del messaggio lanciato dal Cancelliere: continuare a godere della benigna valutazione dei mercati. Con un deficit che alla fine dell'anno fiscale inglese sarà all'8,5% del Pil e un debito pubblico che continua ad appesantirsi, intaccando anche la gamba più sana dell'esposizione globale britannica, zavorrata da privati e imprese, piazzare gilts con rendimenti inferiori ai bund è un privilegio. «Chi vuole mettere questa condizione a rischio aggiungendo deficit - ha detto il Cancelliere rivolgendosi a chi contestava le misure aggiuntive - deve dare una spiegazione». Proprio ai mercati guarda la nuova ondata di austerità che con tanta enfasi George Osborne ha illustrato in Parlamento. Per ora nessuno mette in discussione la tripla A britannica, nonostante un paio d'anni fa Standard & Poors avesse annunciato di voler porre maggiore attenzione al debito sovrano di sua maestà. Una battuta finita lì, anche perché la mano ferma del governatore Mervyn King sulla Banca d'Inghilterra garantiva autorevolezza e generosità nel battere moneta qualora fosse stato necessario. Così è stato fatto e così sarà fatto di nuovo in febbraio, al più tardi. Ma la benevolenza dei mercati e l'occhio di riguardo fin qui avuto dalle agenzie di rating, nascono, soprattutto, dalla fiducia nella cura Cameron-Osborne. Un regime severo, avviato anzitempo e con proiezioni di medio periodo, che prometteva di funzionare. La certezza del successo, dall'altro ieri, è sfregiata, i provvedimenti adottati non bastano, ne sono necessari di nuovi. Averlo fatto alla vigilia di uno sciopero massiccio, senza precedenti negli ultimi decenni, ha aggiunto un carico simbolico potente a questa congiuntura di metà autunno. E non solo simbolico. Dalla minaccia incombente sulla dinamica sociale di un Paese slabbrato, soprattutto fuori dai confini della capitale, rischia di dipendere l'evoluzione del quadro britannico, la tenuta dei conti, la forza di correggerli e, in ultima istanza, anche la generosa benevolenza del mercati.
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