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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 22:21.

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MOSCA – In un volantino del Kprf, la sigla del Partito comunista russo, si vede un pugno rosso che malmena un orso blu: simbolo e colore di Russia Unita, il partito del potere meglio conosciuto ormai, alla vigilia delle elezioni parlamentari di domenica, con un'altra sigla: PZhV, partito degli imbroglioni e dei ladri. L'accusa che, secondo gli esperti dei sondaggi, è alla base del calo di popolarità che innervosisce sempre più il Cremlino: domenica la percentuale di russi delusi e stanchi di un sistema autoritario e burocratico che non lascia alternative e che si ripropone per altri 12 lunghi anni potrebbe rivelarsi superiore al previsto. E molto inferiore al 64% di consensi messi a segno nelle elezioni del 2007. "Finora quelli di Russia Unita erano sempre stati in grado di stabilire da sé senza problemi con quanto volevano vincere – spiega un osservatore occidentale – ora dovranno raddoppiare gli sforzi".

Così, a tre giorni dal voto, più che su programmi e prospettive l'attenzione di tutti è concentrata sulla natura di questi "sforzi": secondo un sondaggio, il 46% dei russi è certo che i risultati del voto saranno manipolati, mentre nella blogosfera si moltiplicano le accuse dell'opposizione, le preoccupazioni dei pochi osservatori indipendenti (già accusati da Vladimir Putin di tradire il Paese per conto di potenze straniere), le denunce di abusi che nessun osservatore potrà mai verificare perché nascono dalle pressioni di amministratori regionali o datori di lavoro a loro volta in pericolo, se non garantiranno al partito le percentuali di voto richieste. Putin, che partirà dall'esito del voto per lanciarsi alla riconquista del Cremlino con il voto di marzo, non può lasciare nulla al caso. Ha bisogno di una vittoria convincente per legittimare il proprio ritorno, e di una Duma pronta a sostenerlo – con una maggioranza assoluta – per far passare le decisioni difficili che l'economia, a campagna elettorale chiusa, richiederà.

Per questo la tensione cresce mentre i sondaggi su Russia Unita scendono, anche sotto il 50 per cento. La gente si è sentita presa in giro, dicono in tanti a Mosca, quando Putin ha annunciato il suo ritorno mettendo da parte Dmitrij Medvedev, cancellando con un gesto quattro anni che potevano preludere a un vero cambiamento. Così, ignorando gli inviti a recarsi a votare con cui è costellata Mosca – manifesti che in alcuni casi riportano brutalmente il simbolo di Russia Unita, in altri semplicemente ne ricordano i tratti e i colori - molti russi già pensano di non andare ai seggi, certi di non poter comunque incidere sulla storia del Paese. Con la stessa rassegnazione altri si piegheranno a dare il proprio sì, ma le previsioni dicono che tanti voti torneranno ai signori di un tempo, i comunisti di Ghennadij Zjuganov che potrebbero passare dall'11,57% del 2007 al 20% dei consensi. Paradossalmente i comunisti devono il rilancio dell'immagine e dei temi a loro cari in parte a Putin, alla sua insistenza sul nazionalismo e sull'amore per la patria. Lui, Zjuganov, inossidabile, marcia a portare garofani tra la Tomba del Milite Ignoto e quella di Stalin, tra le mura del Cremlino: "Non permetteremo ai ladri e ai truffatori di rubarci la voce!", ha tuonato. Dal mondo nuovo dei siti internet, il grido di battaglia di blogger e dissidenti vari è lo stesso.

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