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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2011 alle ore 19:21.

DURBAN - «Il clima è una sfida globale che richiede una solidarietà globale. È sempre questo, il mio messaggio ai Governi del mondo». Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, è arrivato Durban, in Sud Africa, per la volata finale del vertice sul clima, insieme a una schiera di 130 ministri dell'Ambiente, incluso il neoministro italiano Corrado Clini. Peccato che l'appello del numero uno dell'Onu per una solidarietà globale (i Paesi che soffrono di più gli effetti dei cambiamenti climatici sono quelli più poveri, che emettono meno gas-serra) non abbia un serio riscontro nei negoziati.

«Noi Paesi del gruppo Basic (Cina, India, Brasile e Sud Africa) siamo pronti a fare sforzi aggiuntivi verso il successo di questo vertice», dice Xie Zhenhua, capo della delegazione cinese. «Non mi pare che la Cina stia offrendo nulla di nuovo», ribatte Todd Stern, il capo dell'opposta delegazione americana. Così, a tre giorni dalla chiusura del summit sudafricano, è impossibile prevedere l'esito finale. A cominciare dalle sorti del Protocollo di Kyoto che fra un anno esaurisce la prima fase e, per la seconda, resta appeso al tenue filo di un'Europa che recita la parte della prima della classe. E alle richieste dei Paesi in via di sviluppo – di fatto una precondizione al loro impegno – che insistono nel mantenere in vita l'unico trattato climatico internazionale, nonostante le sue fila sembrino destinate a restringersi ulteriormente con le defezioni di Canada, Russia e Giappone.

Fra i temi più dibattuti, c'è il difficile parto del Green Climate Fund istituito l'anno scorso al vertice di Cancun, chiamato a raccogliere 30 miliardi l'anno dal 2012 e 100 dal 2020, da destinare giustappunto ai Paesi più poveri e più in difficoltà. Ma «in tempi di austerità fiscale» – come li definisce il segretario generale – non c'è nulla di certo. Anche se ora sta girando l'ipotesi di finanziare il fondo tramite una tassa globale sulle emissioni dei trasporti marittimi. «Per un nuovo trattato ci vorrà del tempo – ammette Ban Ki-Moon – ma mi auguro che nel frattempo i singoli Stati possano portare avanti iniziative individuali».

Come ad esempio la Svezia, che risulta ancora la prima nel Climate Change Performance Index del 2012, pubblicato come ogni anno dall'organizzazione non governativa GermanWatch. La Svezia è quarta, il Regno Unito quinto e la Germania sesta, visto che i primi tre posti del podio «non sono assegnati a nessuno, perché che nessuno fa abbastanza», spiega Jan Burck di GermanWatch.

L'Italia è solo trentesima, anche se ha migliorato la propria posizione per il trend delle emissioni in calo, ma pur sempre giudicata negativamente per le sue politiche climatiche. «La Polonia, insieme all'Italia – si legge nel report – hanno guidato i Paesi europei che hanno bloccato l'adozione a livello europeo di un maggiore taglio alle emissioni del 30%, entro il 2020»: l'obiettivo Ue resta fermo al 20%, comunque fra i più ambiziosi al mondo.

Così, visto che la solidarietà multilaterale scarseggia, il complicato mondo dei negoziati climatici fa affidamento sulle iniziative individuali. «Le rilevazioni satellitari della Nasa – proclama Luiz Alberto Figueiredo Machado, capo della delegazione brasiliana – dicono che nell'ultimo anno noi abbiamo rallentato dell'11% la deforestazione», che indirettamente contribuisce al riscaldamento globale. Ma c'è anche chi protesta, per il troppo unilateralismo: «L' Europa sta per imporre una tassa sull'aviazione – lamenta la ministra indiana all'Ambiente, Jayanthi Natarajan – che a me sembra un'azione di guerra commerciale mascherata da iniziativa climatica».

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