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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2011 alle ore 16:45.
L'ultima modifica è del 06 dicembre 2011 alle ore 13:50.

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(Afp)(Afp)

di Antonella Scott
MOSCA - La risposta del regime alla voce degli elettori è il pugno di ferro. La risposta al pugno di ferro è la protesta che si rinnova, tornata questa sera sulla piazza Triumfalnaja, non lontano dal Cremlino. Sfida aperta dei dimostranti alle schiere di Omon, gli agenti anti-sommossa: fin dal mattino si era capito che qui sarebbe stata battaglia, perché lunghe colonne di camion militari si dirigevano verso il centro di Mosca, migliaia di poliziotti e truppe del ministero degli Interni presidiavano le vie d'accesso al Cremlino. Non sarebbe rimasta senza un seguito, è chiaro, la grande manifestazione di lunedì, la più numerosa: forse 10mila persone contro i brogli che hanno sfregiato le elezioni parlamentari di domenica: senza riuscire peraltro a evitare a Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, una pesantissima sconfitta.

Partito da Facebook, il tam tam che chiamava in piazza a proseguire la lotta si univa alla ricerca di notizie sull'uomo che ha coniato la frase divenuta lo slogan della protesta, che descrive Russia Unita come «il partito dei ladri e degli imbroglioni«. Lui è Aleksej Navalnyj, il blogger che ha dichiarato guerra alla corruzione. Lunedì sera lo avevano arrestato insieme a un altro leader dell'opposizione, Ilja Jashin, entrambi sono stati condannati a 15 giorni di detenzione per insubordinazione nei confronti delle forze dell'ordine.

Sulla piazza Triumfalnaja, Navalnyj è un eroe. «Hanno fatto l'errore più stupido che potessero fare, arrestandolo», dice Andrej Mironov dell'associazione Memorial, «ex prigioniero politico ed ex dissidente«, si descrive. La miccia sembra accesa, la catena delle proteste sembra ormai destinata a srotolarsi in un confronto sempre più duro con il regime. Questa sera la manifestazione non è autorizzata, dunque gli agenti avvertono chiunque passi che rischierà di essere arrestato. Eppure la folla si ingrossa, tra dimostranti, simpatizzanti, giornalisti, persone che semplicemente vorrebbero raggiungere la stazione del metrò e restano bloccate, mischiate alle automobili disperate in cerca di un varco sulla pur ampia via Tverskaja.

La scena è surreale perché davanti al metrò che ancora porta il nome di Majakovskij hanno schierato come contraltare i ragazzi di Nashi e la Molodaja Gvardia (Giovane guardia), simpatizzanti di Putin e del suo partito. Sventolano dei gran tricolori russi, gridano "Rossìa!" martellando i tamburi per coprire gli slogan dei dimostranti anti-regime. Ma quando gli Omon trascinano via a peso qualche dimostrante, la gente grida ancora più forte dei Nashi: «Vergogna Russia Unita!», «Putin ladro!».

Tra gli arrestati, più di 200, ci sono altri leader dell'opposizione, come Serghej Mitrokhin di Jabloko e Boris Nemtsov di Solidarnost. «È solo l'inizio», era stato un commento di quest'ultimo, vicepremier ai tempi di Boris Eltsin. Quel che sta avvenendo in Russia non ha certo finora le dimensioni delle rivolte arabe, ma è una scintilla che il regime potrebbe non essere in grado di governare.

Vladimir Putin ha iniziato a dare le prime risposte alla sconfitta di domenica. A una riunione di attivisti del partito ha scaricato la responsabilità della sconfitta su Russia Unita, appunto, preannunciando un rinnovamento dei quadri. Poi però ha liquidato le richieste dei dimostranti: «Le autorità vengono sempre bollate come ladri e imbroglioni - ha detto - non bisogna farci attenzione». Stando in piazza Triumfalnaja, sembra davvero difficile che ci possa riuscire.

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