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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2011 alle ore 06:38.

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A Kabul un attentato così sanguinoso - le vittime sono 60 e i feriti 170 - non si vedeva da oltre due anni. E in Afghanistan tre attacchi quasi simultanei, di cui due kamikaze, nel giorno dell'Ashura, diretti quindi contro la comunità sciita, non si erano mai visti. Hanno un alto valore simbolico: far precipitare il Paese nell'odio settario e confessionale.

Perché tra tutte le ricorrenze religiose della comunità sciita, l'Ashura (anche in Afghanistan è festa nazionale) è senza dubbio la più importante, e, soprattutto, la più sentita. Ashura in Arabo significa "decimo giorno" (del mese lunare di Muharram), e commemora il martirio dell'imam Hussein, nipote del profeta Maometto e figlio di Alì. Era il 680 d.C., quando, nella pianura di Kerbala, con soli 72 uomini al seguito, Hussein sfidò l'esercito di 4mila soldati del califfo omayyade Yazid ibn Mùawiya. E morì insieme ai suoi uomini. Fu questo l'episodio che consacrò lo scisma dei due rami dell'Islam, il sunnismo e lo sciismo. Gli sciiti rivendicavano il fatto che dovesse essere Hussein a succedere al profeta nella leadership dell'Islam.

Maggioranza solo in Iraq, Iran, Bahrein e Azerbaijan, nel mondo gli sciiti rappresentano circa il 15% dei musulmani. In Afghanistan sono circa il 20% della popolazione, quasi tutti hazara, l'etnia dai tratti mongoli che vive soprattutto sull'altipiano di Bamyan. Un'etnia perseguitata dai talebani durante gli anni bui del loro regno - dal 1996 al 2001 - e che tutt'ora lamenta una discriminazione da parte degli altri gruppi etnici, tra cui tajki, pashtun e uzbeki. Durante l'Ashura, i fedeli, avvolti in vesti nere, si flagellano il petto e la schiena, sfilando in corteo coperti di sangue, al ritmo martellante dei tamburi.

Per quanto l'Afghanistan sia precipitato in una spirale di violenza negli ultimi anni, l'attentato di ieri resta un fatto anomalo. Nascosto tra la processione, il kamikaze che si è fatto esplodere a Kabul all'esterno del santuario di Abu Fazal Abbas sapeva che avrebbe provocato una strage. Così è stato: il bilancio, ancora provvisorio, è di 59 vittime e 150 feriti. A Mazar-i-Sharif, nel nord del Paese, un altro kamikaze ha invece ucciso 4 pellegrini, ferendone 17. Sarebbe stata una strage anche a Kandahar, la riottosa città meridionale fino a pochi anni fa roccaforte dei talebani. L'ordigno, nascosto in una motocicletta parcheggiata, è esploso poco prima che passasse una processione di flagellanti.

Gli attentati non sono stati comunque rivendicati. Nemmeno dai talebani, che attraverso un comunicato di un presunto portavoce hanno precisato: «Il nemico invasore ha fatto ricorso a questo atto brutale per creare il terrore, la diffidenza e l'odio tra gli afghani, e giustificare una più lunga permanenza nel Paese e per dividere la nazione».

Dura la condanna da parte del presidente afghano Hamid Karzai, che da Bonn, dove si è tenuta lunedì la conferenza sui Paesi donatori per l'Afghanistan ha precisato: «È la prima volta che, in una giornata religiosa tanto importante in Afghanistan, avviene un episodio di terrorismo di tale orribile natura. Se non verrà sradicato l'estremismo, non vedremo né la pace in Afghanistan né la pace e la stabilità in Pakistan». Condanne e preoccupazione sono state espresse anche dagli Stati Uniti, dall'Unione europea e dall'Italia.

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