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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2011 alle ore 06:37.

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L'ultima tappa della missione europea del segretario al Tesoro americano Timothy Geithner è stata l'Italia e non è un caso. Nella prefettura di Milano, dopo l'incontro con il primo ministro Mario Monti, non si è rivolto alla stampa solo con le consuete parole rassicuranti e incoraggianti sul futuro dell'Europa espresse in precedenti vertici a Francoforte e Parigi. In modo conciso, come gli americani sanno fare meglio di tutti, ha definito il partner un uomo di «credibilità» non soltanto in Europa ma a livello internazionale. Un imprimatur non da poco.
È significativo che per questa tre giorni sia venuto da Washington il segretario al Tesoro e non quello di Stato, peraltro proprio a ridosso del cruciale Consiglio europeo: l'emergenza economica del Vecchio continente allarma la prima economia del mondo, già preoccupata per i guai in casa propria, con un livello di disoccupazione costantemente alto, una crescita stentata, il solito soffocante debito. Ma se a questo si aggiungono la turbolenza dei mercati, la spada di Damocle delle agenzie di rating e un euro sempre più a rischio, il pericolo che la crisi precipiti e si estenda ulteriormente è concreto.
Le divisioni tra i due big Francia e Germania, la loro incapacità di trovare un accordo in uno stillicidio di compromessi mancati mentre Paesi come Spagna e Italia sono su una china pericolosa, una Bce vista come una Fed "monca" (per esempio, non può essere prestatore di ultima istanza) sembrano incomprensibili agli occhi degli americani, abituati a tutt'altro sistema. Per questo anche ieri Geithner è tornato sull'esigenza di un'architettura fiscale e finanziaria integrata e ha sottolineato la necessità di rafforzare un firewall, uno scudo che eviti ulteriore contagi: «Riforme vitali e cruciali, quanto impegnative».
Questi ultimi concetti il 50enne segretario al Tesoro, già ex presidente della Fed di New York nel lontano 2003 (Monti ne ha infatti sottolineato «l'esperienza e la saggezza»), li ha ripetuti al presidente della Bce Mario Draghi e ai leader di Berlino e Parigi. Cioè al gotha della politica e dell'economia europea. Poi li ha ribaditi, mercoledì alla riunione del Ppe di Marsiglia, al neo premier spagnolo Mariano Rajoy e ieri al primo ministro italiano: i due leader succeduti ai vecchi che non avevano saputo dare risposte efficaci alla crisi. Un prolungato pellegrinaggio che dà l'idea della profonda preoccupazione dell'amministrazione Obama alla vigilia di un anno elettorale, per le ricadute che l'euro-crisi può avere su una ripresa interna già fragile.
Ieri Geithner è ripartito per Washington sperando di poter dire "mission accomplished", missione compiuta. Insomma, l'America c'è, dichiara di voler fare la sua parte. Anche se preferisce forse sorvolare sul fatto che tutto questo ha pure radici lontane, entro i propri confini, in quell'effetto a catena provocato dal crack di Lehman Brothers del 2008 e dai mutui subprime.
eliana.dicaro@ilsole24ore.com
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