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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2011 alle ore 09:26.

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BRUXELLES - Capire chi vince e chi perde nei consigli europei è sempre un esercizio rischioso, soprattutto se la valutazione giunge a caldo. Il vertice terminato ieri sembra proprio un'eccezione. Perde la Gran Bretagna, vince la Francia, si difende la Germania, secondo alcuni diplomatici che hanno partecipato a un maratona negoziale nella quale le posizioni dei singoli Paesi hanno provocato svolte impreviste e risultati inaspettati.

Quando la cena informale a 27 - e non a 17 per volere espresso del cancelliere Angela Merkel - è iniziata giovedì sera alle 20 e 10, preceduta da alcuni incontri a margine, il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy ha spiegato chiaramente come avrebbe gestito il dibattito: prima discutere della sostanza, degli obiettivi da raggiungere; poi successivamente del modo in cui adottare le decisioni.
Questa seconda parte della discussione è stata la più complessa. La Germania si è subito impuntata, contraria all'idea di una riforma leggera dei Trattati (via il Protocollo 12) e favorevole invece a una revisione più profonda pur di sancire la nascita di un nuovo patto di bilancio. Il premier britannico David Cameron ne ha subito approfittato - alle 2 e 30 del mattino secondo il precisissimo resoconto britannico - per porre le sue condizioni.

«È stato esplicito - spiega un alto responsabile europeo -. Ha detto che avrebbe accettato di riformare i Trattati a 27 solo se fosse stata reintrodotta la regola dell'unanimità nelle decisioni sui servizi finanziari. Il suo obiettivo era di difendere la City. Intorno al tavolo la reazione è stata chiara: in un continente nel quale le banche sono in questo momento particolarmente impopolari, il tema era quello sbagliato con le persone sbagliate».

In pochi minuti è stato chiaro a tutti che Cameron aveva imboccato una strada che nessuno degli altri 26 voleva percorrere. Per i francesi è stata l'occasione per imporre la loro via: l'accordo intergovernativo, che a quel punto diventava non solo l'unica soluzione possibile ma anche un modo per isolare finalmente Londra, secondo un diplomatico che ieri ricordava i veti francesi all'ingresso inglese nella comunità nel 1963 e nel 1967.
«Tradizionalmente l'accordo intergovernativo è sempre stato visto dalla Francia come un modo per difendere la propria sovranità ed evitare il metodo comunitario», aggiunge un esponente brussellese. La discussione notturna è stata accesa, tanto che fonti britanniche hanno ammesso che durante i lavori Cameron si è consultato telefonicamente con il vice premier Nick Clegg e con il cancelliere dello scacchiere George Osborne.

Secondo il Daily Mail, video alla mano, il presidente Nicolas Sarkozy si sarebbe rifiutato di stringere la mano a Cameron ieri mattina quando i due si sono rivisti alla ripresa dei lavori. Poco importa: Berlino, Londra e Parigi si sono affrontate a veti incrociati, ma il dibattito ha favorito la Francia che ha usato l'alibi della posizione britannica per imporre la sua soluzione preferita. Dalla notte di Bruxelles emergono almeno due conseguenze.
La partita negoziale delle ultime 48 ore non crea una nuova unione: con il nuovo patto di bilancio, i poteri della Commissione pur rafforzati non cambiano radicalmente. Non ci sarà alcun trasferimento di sovranità dalla periferia al centro. La seconda conseguenza occuperà il dibattito politico dei prossimi mesi, a Londra e nelle altre capitali: quale è il posto della Gran Bretagna nell'Unione? (B.R.)

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