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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2011 alle ore 10:48.

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Il grave rifiuto della Gran Bretagna di David Cameron, dell'Ungheria, della Svezia e della Repubblica ceca fa nascere l'Europa a due velocità. Una decisione obbligata che però costringe il sistema europeo a una scelta intergovernativa invece che a quella maestra comunitaria. In questo modo la Commissione europea e la Corte di giustizia non avranno lo stesso ruolo e potere, come se tutti avessero accetttato le modifiche.

Una via ardua ma a cui i 23 (i 17 euro e sei "volenterosi") sono stati costretti dal rifiuto di Cameron, che ha addirittura minacciato l'uso del veto alla modifica dei trattati perché temeva che le riforme nell'aria potevano colpire la piazza londinese della City. Cameron aveva anche promesso di non cedere altra sovranità senza ricorrere a un nuovo referendum.

Il premier britannico sapeva che nell'ambito del mercato unico Londra avrebbe dovuto accettare le modifiche a maggioranza con gravi rischi per la profittabilità del suo settore e della piazza finanziaria della City: così ha usato il suo possibile sì al rafforzamento fiscale, cui peraltro Londra non era interessata direttamente in quanto detentrice di un opt-out sull'euro, come arma di ricatto per ottenere un ulteriore opt-out, ma questa volta sul terreno del mercato unico, proprio ciò di cui Londra finora si è vantata di voler perseguire.

Il bluff britannico è stato compreso dai più e Londra ora si trova fuori, ai margini dell'Europa. La prima sessione del Consiglio europeo di Bruxelles, che doveva arginare e possibilmente risolvere la crisi dell'euro, dopo 11 ore di discussione tesa e a tratti drammatica, ha prodotto così una profonda divisione fra gli Stati membri. Ventitré paesi, fra cui tutti i 17 dell'Eurozona, hanno deciso di stipulare un nuovo trattato intergovernativo sul 'fiscal compact', la disciplina del bilancio rafforzato che sarà "aggiuntivo" rispetto al Trattato Ue, e raccoglierà tutti gli impegni degli Stati contraenti in materia di disciplina finanziaria e le nuove regole di bilancio concordate in base all'accordo franco-tedesco.

Fuori dall'iniziativa a 23 restano quindi la Gran Bretagna di David Cameron e l'Ungheria di Victor Orban con un 'no' netto, mentre la Repubblica ceca e la Svezia non hanno potuto pronunciarsi perché sprovviste del mandato parlamentare a negoziare un nuovo trattato.

«Noi non rinunceremo mai alla nostra sovranità»: il primo ministro britannico David Cameron ha giustificato così, in una conferenza stampa stamattina a Bruxelles, il rifiuto di Londra ad accettare la riforma dei trattati dell'Ue proposta da Parigi e Berlino per una maggiore disciplina nella politica di bilancio.

Cameron ha parlato di una «decisione difficile ma buona» in cui gli interessi del suo Paese sono stati tutelati. E ha aggiunto: «Se non si riescono a contenere gli eccessi all'interno di un Trattato, meglio restarne fuori». «Ciò che è uscito» dal summit Ue «non era nell'interesse della Gran Bretagna, quindi non l'ho accettato. Sono lieto di non essere nell'euro - ha proseguito il premier britannico - non potevo presentare questo nuovo trattato al nostro Parlamento», ha detto ancora Cameron, visibilmente sollevato.

Stando a quanto riferito precedentemente dal presidente francese Nicolas Sarkozy, Cameron aveva chiesto un protocollo allegato al trattato per esonerare Londra dall'applicazione delle regole sui servizi finanziari. Una condizione non accettabile - secondo il presidente francese - poiché proprio da questo settore sono nati molti dei problemi dell'attuale crisi.

Per Cameron, invece, devono essere tutelati «interessi britannici in ambito Ue», come il libero scambio e l'apertura dei mercati. Quando ai 17 paesi dell'Eurozona, accompagnati da sei paesi membri 'volontari' nell'ambizioso progetto di revisione dei trattati - che sarà verosimilmente messo a punto per marzo - Cameron ha augurato loro «buona fortuna, perché risolvano i loro «problemi». Da oggi però Londra (e non il Continente) è più isolata e marginale. Proprio come profetizzava De Gaulle.

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