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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2011 alle ore 09:28.

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Per chi non lo sapesse, Bill Cash è un signore settantenne alto ed elegante, deputato conservatore e bandiera del 1922 Committee, i duri e puri dell'euroscetticismo britannico. Combatte dai tempi di Margaret Thatcher con foga da Don Chisciotte impegnato in surreali tenzoni antieuropee, contro la storia. Dopo decenni di sconfitte, Bill Cash ha vinto. Gli ha alzato il braccio il premier David Cameron al termine di un incontro intenso, ma rapidissimo, nel quadrato di Bruxelles. La vulgata dice che il premier britannico abbia ceduto alla rivolta antieuropea dei Tory che minacciava di travolgere il governo stesso.

Lo scenario di un'Europa senza Gran Bretagna ha così preso improvvisa consistenza, spolverando la storia, scomodando Margaret Thatcher, mobilitando Neville Chamberlain, confermando che agli inglesi piacciono le drammatizzazioni e i toni epocali. In questo caso, però, tutto è assolutamente giustificato. Il passaggio è storico. L'arrivo dell'euro nell'Unione aveva da tempo emarginato Londra, ma la centralità che questa crisi ha conferito al ruolo della moneta unica nell'edificio comune ha spinto la Gran Bretagna ancora più in là, disegnando strategie contraddittorie, dialoghi fra sordi, dove l'interesse inglese aveva difficoltà a misurarsi con quello dei partner. In questo caso la tutela del mercato unico, prioritario per i sudditi di Elisabetta, e nello specifico per la posizione della City all'interno del mercato unico, che sta a cuore al Regno Unito come la politica agricola alla Francia e l'industria meccanica alla Germania.

Le clausole di salvaguardia sollecitate da Cameron sono apparse inaccettabili. Probabilmente lo erano. Un inconcepibile, futuro divorzio finale della Gran Bretagna dalla Ue è così precipitato nelle categorie del possibile. Lo immaginano già politici d'opposizione, lo cullano quegli euroscettici che invocano il referendum, consapevoli che la maggioranza degli inglesi è pronta a dire no a Bruxelles. Accadrà? Cameron non può non averlo messo nel conto, anche per questo la sua posizione è sorprendente nonostante le alchimie a cui lo costringe la politica nazionale.

Un azzardo che non tutta la City condivide, non i commentatori più avvertiti. "Londra come la Svizzera", incalzano voci sparse, in paralleli che se adottati costringerebbero a riscrivere il ruolo della Gran Bretagna nel mondo. Viene da sorridere, con tutto il rispetto per la Confederazione elvetica, ma ci sarebbe da piangere se l'obiettivo nazionale, da domani, fosse davvero mimare Berna. L'immagine ultima delle relazioni fra Regno Unito ed Eurozona, allargata e potenziata, è quantomai incerta, ma una cosa si può dire.

La sordina alla lingua inglese che già da oggi s'avvertirà nelle dinamiche comunitarie non spalanca solo un baratro per Londra. La voce britannica non s'è udita, in questi anni, con l'esclusivo obiettivo di dividere, non s'è levata solo per sbattere la thatcheriana borsa sul tavolo del negoziato, ha aggiunto una nota controcorrente, un pensiero trasversale, una visione globale all'approccio del continente agli affari europei. Senza Londra, se questo sarà davvero il destino, l'Unione sarà, forse, più compatta, ma nel mondo sarà molto più prevedibile e infinitamente più debole.

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