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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2011 alle ore 17:13.

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GENOVA - "Avremo subito 600 milioni di perdite sui consumi turistici e su quelli tecnici (cioè ormeggi, rifornimenti, riparazioni e così via, ndr). E poi, con i licenziamenti che seguiranno il ridimensionamento delle attività artigianali, le perdite arriveranno a toccare il miliardo". Roberto Perocchio presidente di Assomarinas, l'Associazione italiana porti turistici, fotografa così, se non ci saranno aggiustamenti normativi, gli effetti della tassa di stazionamento per gli yacht prevista nella manovra Monti.

Un campanello d'allarme fortissimo, suonato anche dalle altre associazioni del comparto nautico, Ucina, Assonautica, Federagenti yacht, Assonat, che considerano devastante, per un settore già duramente colpito dalla crisi del 2008-2009, la "cura" del governo. E chiedono emendamenti che, per lo meno, consentano l'inserimento di un indice di vetustà delle imbarcazioni tassate e la possibilità che gli stranieri non paghino l'imposta.

Attualmente la tassa va dai 1.800 euro l'anno per barche da 10 a 12 metri ai 256mila per yacht sopra i 64 metri.

"Già ora – spiega Perocchio – è un disastro. I nostri porti turistici segnalano una pioggia di disdette. Mentre quelli stranieri di Francia, Croazia, Montenegro, Tunisia, Malta, mandano offerte ai proprietari di barche italiani per spingerli a portare gli yacht sui loro moli. Contestualmente si è verificato subito il blocco delle opere di manutenzione sulle barche e con l'avvio di ferie prolungate per i lavoratori. Presto scenderemo al 50% dell'ordinario giro d'affari. Capisco le esigenze del governo ma questa è un'imposta totalmente recessiva che oltre a porre un'ipoteca sul futuro dei porticcioli esistenti, affossa i 18mila in costruzione in Italia e gli altri 30mila in corso di progettazione. Vengono cancellati in un colpo 20 anni di lavoro e lo sforzo fatto negli ultimi anni per recuperare clienti stranieri".

Analoga la posizione di Luciano Serra, presidente di Assonat, Associazione nazionale approdi e porti turistici, che avverte: "Rischiamo di veder ammainata la bandiera della portualità turistica italiana, a vantaggio di altri competitor europei del Mediterraneo". Mentre Assonautica paventa il rischio di innescare una «"macelleria sociale" ai danni dell'intera filiera della cantieristica, dei porti e delle strutture turistiche».

Anche gli agenti marittimi della nautica, pur "condividendo e supportando la posizione di rigore sostenuta dal governo Monti", ritengono indispensabile "una rivisitazione delle misure sulla tassazione delle imbarcazioni". L'attuale impostazione della norma, spiega Fulvio Luise, presidente di Federagenti yacht, "se non rivista, farà sì che i flussi turistici ed economici si spostino in altre aree del Mediterraneo, evitando volutamente l'Italia, e sarà inevitabile una perdita, stimabile in oltre il 50% dei flussi crocieristici dei grandi yacht nel Paese. Tutto questo è purtroppo già avvenuto in passato con la cosiddetta "tassa Soru", dichiarata peraltro illegittima dalla Corte di giustizia europea, che portò sul territorio sardo molto meno di quello che invece i flussi di turismo estero qualificato erano soliti lasciare in Sardegna.

Lo scorso anno il turismo nautico generato dai grandi yacht, per il solo tramite gli agenti marittimi, ha portato sul territorio italiano oltre 200milioni di euro di spesa tecnica, cioè direttamente riconducibile allo scalo della nave. Con la nuova norma rischiamo di perdere 100 milioni l'anno di sole di spese intermediate".

Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina, la Confidustria nautica, spiega che "secondo le stime fornite dall'Osservatorio nautico nazionale, il gettito della tassa sarà pari 285 milioni e avrà un impatto violentissimo sulle regioni che detengono il maggior numero di posti barca: circa 45 milioni ciascuna per Liguria e Toscana, 35 circa per Campania e Sardegna, 22 per il Friuli Venezia Giulia, 19 per il Veneto. Inoltre, nel 2011, il 15% del traffico dei marina turistici è stato rappresentato da diportisti stranieri che saranno inevitabilmente scoraggiati a rimanere sulle nostre coste. E una flessione del traffico charter del 25%, in termini di mancato indotto, annullerebbe, da sola, l'intero gettito dell'imposta, senza contare la mancata contribuzione Iva sulla vendita delle unità nuove".

Le associazioni chiedono, dunque, un aggiustamento della norma, con l'inserimento di un indice di vetustà delle imbarcazioni, che renda inesigibile l'imposta per barche di età superiore ai 20 anni, nonché l'esclusione dal provvedimento sia delle unità con targa prova, a disposizione delle aziende prima della loro vendita, sia delle imbarcazioni straniere in transito nei porti italiani.

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