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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2011 alle ore 06:41.

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ROMA
«Che dio ci aiuti»: può essere un grido che si ascolta tra un corridoio e l'altro di Viale Mazzini, di Saxa Rubra, di via Teulada o di Corso Sempione. È il titolo, invece, di una fiction in onda domani sera su Rai1. Il servizio pubblico sta su un pendio in discesa, ma dai comportamenti dei vertici non sembra. Nell'ottobre 2005 le sue tre reti generaliste, nel giorno medio, avevano una quota di ascolto del 46%. Nell'ottobre 2011 sono al 35,15%, anche se i canali digitali Rai, tra gennaio e novembre, portano l'audience del gruppo al 40,1% rispetto al 36,4% di Mediaset (ma per la vendita degli spot i canali digitali non valgono come le tre "grandi" reti). Quanto al Tg1, ai tempi della direzione di Nuccio Fava, nel triennio 87-89, la media di ascolto era sugli otto milioni. Sotto la direzione di Augusto Minzolini, il Tg1 delle 20, dal 9 giugno al 12 dicembre, ha una media di ascolto di 5,6 milioni e uno share del 25,88%. Il Tg1 diretto da Clemente J. Mimun e da Gianni Riotta aveva, in entrambi i casi, una quota sui televisori accesi (lo share) superiore al 30% - 31,37% Riotta, 30,89% Mimun - per venire a contesti televisivi più vicini a quello attuale. Negli anni Ottanta e Novanta non c'era ancora il satellite, non c'era il digitale con la moltiplicazione dei canali, non c'era la pay tv nè la tv sul Web.
La Rai ha qualche problema in più rispetto a Mediaset e a Sky, come quello di una percentuale molto più alta di pubblico in età avanzata. Quando - complice una Formula Uno senza più storia - il Tg1 delle 20, domenica 27 novembre, è sprofondato a 4,1 milioni di ascolti e al 16,1% di share, pochi hanno sottolineato un fatto più preoccupante della sconfitta da parte del Tg5, dovuta ad una programmazione particolare. Secondo le elaborazioni Studio Frasi su Auditel, gli adulti tra i 25 e i 54 anni all'interno degli ascolti del Tg1, sono poco più di un milione. Quelli con più di 65 anni oltre due milioni e centomila. A livello di istruzione, gran parte dell'ascolto del Tg1 di quella domenica ha la licenza elementare o il diploma di media inferiore (2,6 milioni).
Quando Letizia Moratti diventò presidente della Rai denunciò, nella sua prima conferenza stampa, la "povertà" e "l'anzianità" del pubblico Rai. Si lasciò poi scappare la frase sul ruolo «complementare» della Rai rispetto a Mediaset. Si scatenò una tempesta verbale che fece scomparire la denuncia.
La provvisorietà degli incarichi non aiuta certo ad elaborare una riflessione strategica: sui linguaggi e le immagini utilizzate, sulle scelte editoriali, sulla credibilità della testata e sul rapporto con i politici (lo "spezzatino" delle dichiarazioni è ormai indigesto a molti spettatori).
Il pluralismo, a sua volta, resta una questione aperta. In ottobre, secondo le rilevazioni dell'Isimm per conto di Agcom, nelle edizioni principali del Tg1 il Governo e il Presidente del Consiglio hanno il 31,02% del tempo di parola, il Pdl il 22,66%, il Pd il 14,6%, il presidente della Camera lo 0,60%, Futuro e Libertà lo 0,63%. Nè la Rai può consolarsi con il fatto che il Tg4 abbia riservato il 35,71% del tempo di parola al Governo e il 47,84% al Popolo della Libertà. La Rai ha un obbligo di pluralismo "interno" alla propria offerta, sancito dalla Corte Costituzionale.
In Europa, inoltre, si stanno ridefinendo ruolo, missione e finanziamento dei servizi pubblici. Si elimina la pubblicità dai loro palinsesti in tutto (Spagna) o in parte (Francia). Si blocca ogni aumento del canone sino al 2017 (Gran Bretagna). In tutti i casi si assegna ai servizi pubblici un ruolo di sperimentatori di nuovi formati e linguaggi, grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie - le tv pubbliche di Francia e Germania da un anno sperimentano la diffusione di contenuti per gli apparecchi televisivi connessi a Internet. La Rai ha un Centro ricerche all'avanguardia ma isolato e ha inghiottito nella Corporate una società specializzata come RaiNet, che aveva lanciato un portale di successo come Rai.tv.
Non sono i direttori di rete o di Tg, né i vicedirettori generali a risolvere altri problemi ad una Rai assimilata alla Pubblica amministrazione dalla Cassazione e gestita con regole di governance, quelle della legge Gasparri, che non reggono e non da oggi. Lo dimostra quanto successo ieri attorno al tavolo ovale di Viale Mazzini dove si riunisce il Cda. Due delibere passate con maggioranze risicate e differenziate tra loro. Questa governance andrebbe cambiata in un momento in cui l'azienda di servizio pubblico ha bisogno di una guida solida e lungimirante. In attesa di avere risposte dalla politica sulle risorse e, soprattutto, sulla governance: l'attuale vertice decade a fine marzo.
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