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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2011 alle ore 10:26.

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L'agenda degli appuntamenti della giornata sull'agenzia di stampa recitava laconica: «Conferenza in memoria di Tommaso Padoa-Schioppa. Intervengono: il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il premier Mario Monti, il presidente della Bce Mario Draghi. Ore 9 Bankitalia». Una commemorazione, in tempo di crisi, per un ministro morto troppo presto, noto per il suo rigore morale e il suo impegno per risanare i conti durante l'ultimo Governo Prodi. Insomma, c'erano tutti gli ingredienti per un happening grondante retorica e buoni propositi sul tema Italia da salvare, l'Italia ce la farà.

La conferenza è stata trasmessa in diretta dal canale all news SkyTg24. Mentre in redazione, sonnacchiosi, appena fatti gli aggiornamenti del sito di mattina, cominciavamo a sfogliare i giornali. Freddo fuori. Grigio. Milano. Sullo sfondo la voce di Visco che parlava in inglese. Come, in inglese? Ma non è a Roma?... Dopo di lui gli altri, Draghi e anche il nostro premier che ha sfoggiato la sua competenza parlando, olè, a braccio. In english, of course. Come se niente fosse. In perfetta normalità professorale. Come se stesse disquisendo di teorie economiche, di Keynes e curve Is-Lm in un'austera concione accademica tra teste pensanti di Yale, Harvard etc. etc. Ma era in diretta televisiva. In Italia. Nella sala conferenze di Bankitalia. Il professore insomma stava parlando da Roma e non in un'aula universitaria, da premier italiano.

Certo, dirà qualcuno, l'inglese era previsto dal programma dell'incontro. Eppoi erano presenti in sala molti esponenti stranieri del ristretto mondo della politica monetaria e delle banche centrali, il governatore della Bank of England Mervyn King e altri. Ma non sarebbe stato più semplice dotarlo, come succede ovunque di un auricolare con radiolina collegata a un traduttore?

La sorpresa in ogni caso ha colto anche i giornalisti presenti. Quelli delle agenzie di stampa e gli altri che di solito seguono a ogni passo le mosse del premier. E rilanciano come sputafuoco sui nostri pc qualsiasi frase. Ebbene, sulle agenzie stamane i dispacci tardavano ad arrivare, come al solito. Niente. Niet. Zero. Segno che la sorpresa dell'inglese non tradotto ha trovato impreparati anche diversi cronisti d'assalto di taccuini e telefonini armati.

Pensate che cosa sarebbe successo se una cosa del genere fosse avvenuta in Francia, dai nostri cugini sciovinisti, fieri della loro lingua e della loro cultura, che hanno vietato con una legge non molto tempo fa l'uso di anglicismi ormai diffusi ovunque nell'orbe terracqueo... Che ne so topless, weekend, computer, goal, cocktail, tie-break. Per difendere la lingua e i prodotti francesi. Documenti scientifici tutti in francese e così nelle pubblicità. Qualche mese fa addirittura una nota del Consiglio supremo dell'audiovisivo ha vietato l'uso di parole come Facebook e Twitter in tv a Parigi e dintorni perché «falserebbero la concorenza». E noi? Noi parliamo in inglese. No problem...

Certo, c'è chi dice che sì è giusto. Così diamo l'idea che siamo usciti dal nostro becero provincialismo, che siamo capaci anche noi di parlare la lingua di Obama. Resta una sensazione di fondo, un gusto retro amaro, un nonsocché di vassallaggio, non solo politico ed economico - la critica ricorrente che con la crisi del debito, da mesi, prendiamo ordini dalla Bce e dalle istituzioni internanzionali - ma ahimè anche culturale. E non è una bella scoperta.

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