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Questo articolo è stato pubblicato il 16 dicembre 2011 alle ore 06:38.

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ROMA
«Spero proprio che supererete questo momento di crisi». Il presidente del Consiglio nazionale di transizione libico, Mustafa Abdel Jalil, si presenta a Mario Monti come il leader provvisorio di un Paese in cerca di una via al dopo Gheddafi ma seduto sul più grande giacimento di petrolio e gas del mondo e che può quindi guardare con un certo distacco alle crisi finanziarie dell'Occidente.
Monti lo riceve a Palazzo Chigi con tutti gli onori ma senza gli "eccessi" del periodo berlusconiano (baciamani e cavalli berberi inclusi). Un'ora e venti minuti di colloquio «lungo, cordialissimo e molto costruttivo» nel segno della continuità degli impegni per trovare «i modi concreti per concentrarsi sulle priorità della nuova Libia». E, dunque, via libera da Jalil e dal premier italiano alla "riattivazione" dell'accordo di amicizia e cooperazione del 2008 sospeso durante la rivoluzione che ha portato alla deposizione di Gheddafi. E via libera dell'Italia allo scongelamento di 600 milioni di euro (370 per l'aumento di capitale in Unicredit).
Per la Libia l'Italia resta un punto di riferimento imprescindibile. Ma il nostro Paese dovrà riprendere a versare al Governo libico 5 miliardi di dollari in venti anni (250 milioni di dollari l'anno coperti da un'addizionale a carico dell'Eni) per la costruzione dell'autostrada costiera e per una serie di opere infrastrutturali indicate dal nuovo Governo libico. Una "riattivazione" che è «nell'interesse dei due Paesi» come ha sottolineato Jalil che ha tra l'altro ringraziato l'Eni per avere «raggiunto il 70% della produzione precedente alla rivoluzione» e dato atto a Silvio Berlusconi di averli sostenuti fin dall'inizio. Parole ascoltate in diretta dall'ad dell'Eni, Paolo Scaroni associato direttamente ai colloqui di Governo così come il presidente e ad di Finmeccanica Giuseppe Orsi. Tutti i dettagli dell'implementazione del Trattato (compreso il risarcimento per i beni degli italiani espulsi da Gheddafi nel '70) verranno discussi però durante la visita che Monti effettuerà in Libia a fine gennaio.
Di sicuro l'Italia, ha assicurato Monti, «intende continuare ad assistere la Libia nel campo della sicurezza, delle infrastrutture, dell'energia». C'è poi la disponibilità a fornire possibilità di studio e formazione nel nostro Paese e assistenza sanitaria per i feriti. Monti ha fatto con Jalil anche il punto sullo scongelamento dei fondi libici in Italia, oltre 6 miliardi di euro (3,5 miliardi circa in partecipazioni Unicredit, Finmeccanica ed Eni) e 2,5 miliardi di depositi liquidi. Ebbene l'Italia ha chiesto al comitato sanzioni dell'Onu lo scongelamento per 2,5 miliardi ottenendo finora di "liberare", dopo il passaggio nazionale del Comitato per la sicurezza finanziaria, 600 milioni di euro. Di questi 370 serviranno per l'aumento di capitale in Unicredit. Dei restanti 230 i depositanti libici potranno disporre a loro piacimento anche se esiste una forte aspettativa italiana sul fatto che possano sanare vecchi crediti delle aziende italiane e di quelle che hanno subito danni durante la rivoluzione. Monti ha spiegato che è stato convenuto con Jalil di «procedere al riconoscimento dei crediti italiani e per farlo sarà possibile usare i fondi scongelati». La condizione posta da Jalil è che questi crediti «siano reali e legittimi». L'accordo di amicizia rimandava a negoziati separati per la definizione dei vecchi insoluti (620 milioni di dollari dei quali accertati 120) mentre sarebbero un centinaio le aziende con crediti recenti per 200 milioni di euro.
A pagina 41
Ricapitalizzazione UniCredit, l'ok di Tripoli

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