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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2011 alle ore 08:12.

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Silvio Berlusconi fa sapere che quella trentina di deputati del Pdl che ieri non ha votato la fiducia al decreto «salva Italia», erano stati «autorizzati». «Non c'era alcun pericolo per la maggioranza», spiega il Cavaliere che vuole bloccare sul nascere i timori di uno sfarinamento del partito, al quale – ha ripetuto anche ieri – si dedicherà d'ora in poi «a tempo pieno». Rassicurazioni che tuttavia non bastano ad annullare la sensazione di «smarrimento» dei deputati del Pdl.
Gli sms che invitavano a non mancare l'appuntamento nell'aula di Montecitorio, «per ragioni politiche ed estetiche», non sono stati sufficienti a convincere quei trenta deputati che hanno deciso di voltare le spalle al governo. E non si tratta solo del solito Antonio Martino, che già alle manovre di Tremonti non si era presentato al momento del voto, o di un suo discepolo come Giuseppe Moles, astenutosi così come Deborah Bergamini, Giulio Marini e Giuseppina Castiello.
Il problema per Berlusconi non sono neppure i due pasdaran come Giorgio Stracquadanio e Alessandra Mussolini né il mancato voto di Giulio Tremonti, ufficialmente ancora convalescente per il piede rotto. A non passare davanti allo scranno della presidenza per esprimere il voto sulla fiducia ieri sono stati personaggi di rilievo dell'entourage del Cavaliere come gli ex ministri Paolo Romani e Michela Vittoria Brambilla. Non c'erano neppure Guido Crosetto e Isabella Bertolini, Viviana Beccalossi e Stefano Saglia. Un drappello che preoccupa perché trasversale e non riconducibile a una specifica cordata.
«Questo non è un semplice mal di pancia ma un virus pericoloso, che potrebbe sfociare in un'epidemia contagiosa...», avverte Amedeo Laboccetta. È una riflessione che accomuna molti tra coloro che ieri alla Camera c'erano. L'addio di Stefania Craxi, passata al misto e pronta ad approdare all'Udc, è l'ennesimo campanello d'allarme. Ma una vera e propria mina potrebbe essere il voto sull'arresto di Nicola Cosentino, coordinatore del Pdl campano che alla Camera può contare su una ventina di seguaci. Mercoledì ci sarà il pronunciamento della Giunta per le autorizzazioni, poi si passerà all'aula. Al momento il Pdl è l'unico gruppo a difendere Cosentino. La Lega, liberata dal vincolo di maggioranza, è intenzionata a non fare concessioni, a perorare la linea dura, assai più popolare tra i suoi sostenitori, mentre Pd e Idv hanno già mostrato il pollice verso. La caduta di Cosentino non sarebbe però priva di conseguenze per gli equilibri interni di partito e non solo in Campania. Berlusconi lo sa.
Il Cavaliere si mostra ottimista, dice che il Pdl «sta recuperando» ma sono in pochi a credergli. La Lega è tornata a crescere a scapito proprio del Pdl. Il Carroccio non sembra intenzionato a recuperare il rapporto con il Cavaliere «che ormai – per citare Bossi – sta con i comunisti». Si guarda con paura alle prossime amministrative, dove per la prima volta il centrodestra potrebbe presentarsi diviso, come già ha anticipato Roberto Maroni. Il Pdl si sente in un vicolo cieco. L'appoggio a Monti non può essere messo in discussione. E non solo per bieche motivi elettorali ma perché tutti sanno che di qui ad aprile ci sono oltre 200 miliardi di titoli pubblici da collocare e una crisi provocherebbe un default. Questi sono i fatti, quelli a cui probabilmente faceva riferimento anche il Cavaliere quando a chi gli chiedeva se il governo durerà ha risposto appunto: «Lo diranno i fatti».
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