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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 08:12.

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Pochi i dettagli trapelati dalla visita del segretario alla Difesa statunitense, Leon Panetta, a Tripoli. La prima in Libia del più alto esponente del Pentagono il cui arrivo ha coinciso con la decisione del Consiglio di sicurezza dell'Onu di abrogare le sanzioni contro la Banca centrale libica che nel febbraio scorso congelarono 150 miliardi di dollari per sottrarli al controllo di Muammar Gheddafi. Gli Stati Uniti hanno annunciato lo sblocco di oltre 30 miliardi di asset della Banca centrale della Libia e della la Libyan Foreign Bank (Lfb), altri 10 miliardi verranno messi a disposizione dalla Gran Bretagna e 600 milioni dall'Italia.
Più dei temi finanziari, gli incontri di Panetta con il ministro della Difesa, Osama Jouili e il premier Abdel Rahim al-Keib sono stati incentrati sulla difficile situazione della sicurezza nel Paese nordafricano che, a due mesi dalla morte di Gheddafi, sembra sprofondato nel caos con oltre 125mila miliziani ancora armati divisi in una settantina di eserciti tribali.
Solo nell'ultima settimana si sono verificati scontri tra milizie rivali in diverse aree del Paese, protagonisti soprattutto i miliziani di Zintan che hanno occupato l'aeroporto militare Mitiga, vicino a Tripoli, e continuano a tenere prigioniero Saif al-Islam, il secondogenito di Gheddafi catturato nel Sud il 19 novembre e mai consegnato al Consiglio nazionale di transizione.
Nonostante l'impegno annunciato dal Governo di Rahim al-Keib neppure la capitale è stata sgomberata dalle milizie mentre a Bengasi migliaia di dimostranti hanno accusato il Cnt di corruzione e inefficienza lamentando mancanza di lavoro e paghe basse. Ai giornalisti che lo accompagnano, Panetta (al termine di un viaggio che lo ha portato a Kabul, Baghdad e Ankara) ha spiegato che scopo della visita è anche quello di «rendere omaggio al popolo libico e a ciò che ha fatto per abbattere Gheddafi e formare un Governo per il futuro» precisando che la Libia potrà diventare «un partner importante» degli Stati Uniti in tema di sicurezza al quale «siamo pronti a offrire assistenza in uno spirito di amicizia e mutuo rispetto».
Gli Stati Uniti hanno inviato in Libia decine di contractor incaricati di verificare il saccheggio dei depositi di armi dell'esercito del raìs finiti nelle mani delle milizie locali ma anche trafficati all'estero e segnalati dai diversi servizi d'intelligence a Gaza, in Libano e tra i miliziani dell'organizzazione al-Qaeda nel Maghreb islamico. Gli americani hanno messo in sicurezza 5mila missili antiaerei portatili dei 20mila presenti prima della guerra e domenica scorsa l'assistente del segretario di Stato per gli affari politici e militari, Andrew Shapiro, aveva ammesso che i contractor «sono al lavoro per capire quanti missili sono ancora in circolazione». Secondo indiscrezioni, Washington vorrebbe utilizzare alcune basi libiche per velivoli e forze speciali coinvolgendo Tripoli nella "Trans Sahara counter terrorism initiative" la struttura di cooperazione contro al-Qaeda che coinvolge i Paesi di Maghreb e Sahel. Nei colloqui si è parlato anche della missione internazionale di stabilizzazione che sembrava pronta a dispiegarsi al termine dell'operazione Unified protector della Nato. Proprio a questa missione, della quale il Qatar vorrebbe avere il commando, potrebbe essere affidato il compito di disarmare le milizie e affiancare e addestrare un esercito libico al momento quasi inesistente. Il comandante delle forze armate, il generale Khalifa Heftar (eroe della guerra in Ciad considerato vicino a Washington dopo 20 anni di esilio negli Usa) è scampato a un paio di imboscate nei giorni scorsi. Di una missione in Libia aveva parlato mercoledì anche il ministro della Difesa italiano, Giampaolo Di Paola, riferendo alle commissioni parlamentari Esteri e Difesa che «se i libici e il Governo chiederanno l'assistenza dell'Italia e delle sue forze di sicurezza, credo sia utile e opportuno fornirla».
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